Il bando comunale per l’assegnazione in blocco a privati dei servizi di didattica e gestione del patrimonio museale di Bologna, è anticostituzionale. Il vizio formale lo solleva il giuslavorista Piergiovanni Alleva durante la serata organizzata dei dipendenti dei musei civici bolognesi, gruppo di lavoratori che da almeno un paio di mesi si sta mobilitando per difendere il futuro pubblico delle sette strutture comunali a rischio di una graduale ‘esternalizzazione’.
“Il tema del bando che riguarda i dipendenti dei musei di Bologna è quello dell’appalto di mano d’opera”, spiega Alleva alla platea della sala Biagi a Bologna davanti ad almeno un centinaio di persone, “Qui siamo di fronte al decadimento progressivo della disciplina dell’appalto, stella polare del diritto del lavoro italiano, costituitasi attraverso la legge 1369 del 1960. Una posizione precisa che nasce su impulso dei padri costituenti dopo un’inchiesta parlamentare sul dilagare del caporalato e per impedire lo sfruttamento. Legge che è stata smantellata nel tempo prima dalle agenzie interinali, poi con il pacchetto Treu e infine con la legge Biagi”.
L’appalto come tutti tradizionalmente conosciamo, vede affidare da un committente ad un imprenditore la costruzione di un bene o l’effettuazione di un servizio, attraverso la messa a disposizione dell’appaltatore di una organizzazione imprenditoriale propria e con un suo rischio commerciale specifico: “La distinzione tra appalto vero e appalto come mera somministrazione mano d’opera si è fatta sempre più tenue nella pratica per favorire le esternalizzazioni”, ha continuato il giuslavorista, “Metodo usato spesso nelle aziende farmaceutiche private con la cessione di rami d’azienda, ma anche qui a Bologna per i musei pubblici”. “Ricordo – ha concluso – che per la Cassazione affidare un appalto che ha come contenuto solo la mano d’opera è vietato, a meno che l’insieme dei lavoratori non riesca ad esprimere un valore aggiunto di know how tale che questo faccia sicura differenza per il committente rispetto allo stesso scopo. E in questo bando dei musei la differenza non si rileva”.
Si apre così una nuova strada giuridica per i 112 lavoratori dei musei bolognesi che hanno iniziato a protestare ai primi di maggio 2014 dopo che alcuni di loro hanno scoperto sul sito del Comune di Bologna il testo del bando – oramai scaduto il 27 maggio -, documento che certifica l’appaltato in outsourcing non solo dei classici servizi di accoglienza e sorveglianza dei musei civici, ma anche quelli didattici, allestimento, conservazione e gestione del patrimonio per i prossimi 3 anni. “Questa china discendente delle esternalizzazioni si sviluppa in Italia con la nascita delle ‘fondazioni’ che sono proliferate come le rotonde agli incroci”, afferma Pier Giovanni Castagnoli, ex direttore della Galleria d’Arte Moderna di Bologna dall’88 al ’94, poi della Gam di Torino fino al 2008, presente nella sala Biagi per supportare le ragioni della protesta dei lavoratori. “L’elemento più evidente è che con la creazione delle fondazioni sono aumentati i costi – continua – i dipendenti comunali che non volevano finirci dentro hanno chiesto giustamente di essere ricollocati in altri uffici comunali. Logico che in molti casi i costi sono raddoppiati. Anche se ciò che mi fa davvero arrabbiare per i musei civici di Bologna è la messa a bando della didattica: la voce con cui il museo ‘parla’ è la scelta delle opere, il loro l’allestimento. La didattica è il museo e affidarla alla prima ditta privata che vince un bando è assurdo”. “Per diventare dipendenti comunali nei musei e nelle discipline artistiche abbiano fatto esami di una durezza impressionante”, ha aggiunto Eugenio Riccomini, 78enne storico dell’arte italiana, ex assessore alla cultura e vicesindaco di Bologna, nonché per un breve periodo direttore dei Musei Civici di Arte Antica in città, “perché con un appalto si cercano nuove figure esterne che devono fare la didattica quando hai già personale qualificato interno che ci lavora? Spero che dopo la cultura non venga privatizzata anche la scuola. L’augurio che faccio a un giovane oggi è: che tu possa diventare vecchio”. I dipendenti dei musei civici di Bologna hanno infine riassunto il loro caso e le loro battaglie qui (leggi).