Mi colpisce sempre osservare le reazioni ai post della pagina pubblica Facebook Social Street Italia.
Con questo strumento diffondiamo in tempo reale quello che avviene nelle oltre 280 Social street in Italia e nel mondo. Ma cosa avviene di così straordinario nelle Social streets? I vicini di casa s’incontrano, si parlano, si confrontano, progettano, creano. Le cose che possono sembrare banali, suscitano reazioni di stupore e meraviglia. Darsi appuntamento nel gruppo Facebook dei residenti per ritrovarsi con i vicini sotto casa per cenare in strada portando una sedia ed un tavolino, o darsi appuntamento per un pic nic nel giardino vicino la propria social street, diventa qualcosa di eccezionale eppure dovrebbe essere una cosa normale. Allora m’interrogo sul perché di questo stupore. Le città negli ultimi decenni sono cambiate, sono cambiati i ritmi di vita. Una giornata tipo di un essere umano si divide normalmente in tre parti, otto ore dedicate al lavoro, otto ore dedicate al sonno e otto riservate alle relazioni sociali (famiglia, amici etc.)
Oggi quest’assioma non regge più. Impieghiamo sempre più tempo per raggiungere i propri posti di lavoro, in media si calcola dalle due o tre ore al giorno dedicati agli spostamenti. Questo tempo viene inevitabilmente sottratto alle relazioni sociali. Ed è così che ci siamo disabituati alla normalità, a relazionarsi con gli altri. Siamo tutti convinti che la soluzione ai nostri problemi sia il web 2.0, pensiamo che un portatile ed una connessione internet veloce ci renda padroni del mondo, che ci consenta di risparmiare tempo. La domanda è: risparmiare tempo per fare cosa? Una città non è “smart” solo se è “veloce”, se ha la fibra o se ha le infrastrutture urbane che consentano di far correre di più i propri cittadini. Una città può essere “smart” anche se è “slow”, una città che permette ai propri cittadini di parlarsi, di incontrarsi, di riscoprire l’importanza delle relazioni sociali, dello stare insieme, di osservare e sapere dove si abita, di riappropriarsi della propria città. Social street ad esempio ha dato subito importanza alle piccole attività commerciali della strada non solo perché sono un supporto alla nostra comunicazione off line o perché sono diventati punti di ritrovo per i residenti.
Sempre nell’ottica di una vita più veloce oggi siamo abituati a comprare on line o ci chiudiamo in anonimi centri commerciali pensando che facendo la spesa una volta alla settimana ci consenta di risparmiare tempo e denaro quando spesso non è così. Il frutta e verdura sotto casa per Social street è diventato importante non solo per la comunicazione ma anche per “esercitarsi” a tornare a parlare, a scoprire che il negoziante del Pakistan che vediamo tutti i giorni non è solo un volto dei tanti, ma ha una storia, ed è da queste conversazioni che nascono idee, progetti, arricchimento personale e collettivo. E’ possibile tornare a vivere una città a misura d’uomo? È possibile vivere la città in modo differente? Utopia? Social street dimostra che non è così. Le oltre 12.000 persone che ne fanno parte stanno riscoprendo la bellezza del (ri)vivere le proprie città, le proprie strade e che dunque è importante ripensare le proprie città.
Il Comune di Bologna ha raccolto il messaggio. Ha indetto una call for ideas rivolto alle social street bolognesi (ovvero ai cittadini) per chiedere come si immaginano, come vorrebbero vivere le proprie strade. E’ un contributo che Social street, sulla base dell’esperienza che giornalmente viene vissuta nelle strade, vuole dare alle istituzioni. Secondo li sociologo Bauman, in tempi di recessione economica, dobbiamo ripensare al concetto di prosperità che non può essere esclusivamente associata all’economia ma va cercata “al di fuori del circolo vizioso dell’uso e abuso di merce ed energia: ovvero nelle relazioni, nella famiglia, nel vicinato, nella comunità, nella ricerca del significato della vita e in un’area recondita di vocazioni al servizio di una società che funzioni e si concentri sul futuro”.Questa è la sfida del futuro.