La sua poliedricità, a volte apparentemente contraddittoria, era presente già agli esordi: dopo una laurea in giurisprudenza, aveva deciso di tentare la carriera artistica, facendosi le ossa al Derby di Milano, sancta sanctorum del cabaret milanese degli anni Settanta. Poi Sanremo e i libri bestseller
Scrittore, attore, cantante, compositore. Ma anche sceneggiatore, pittore e comico. Il successo di Giorgio Faletti, scomparso a Torino a 63 anni, sta tutto lì: nella capacità di fare, nell’arco di una vita, tante cose e di farle tutte bene, o almeno con una credibilità indiscutibile. La sua poliedricità, a volte apparentemente contraddittoria, era presente già agli esordi: dopo una laurea in giurisprudenza, aveva deciso di tentare la carriera artistica, facendosi le ossa al Derby di Milano, sancta sanctorum del cabaret milanese degli anni Settanta. Poi, negli anni Ottanta, il grande successo televisivo: Pronto Raffaella?, ma soprattutto il Drive In di Antonio Ricci, con personaggi rimasti nell’immaginario collettivo come Vito Catozzo, Carlino o l’irresistibile Suor Daliso sui pattini. Una notorietà enorme, che però a un uomo “dal multiforme ingegno” come Faletti non poteva bastare (guarda la fotogallery).
Gli anni Novanta, infatti, sono stati gli anni della svolta musicale. Nel 1992 aveva fatto un po’ effetto vederlo sul palco del Festival di Sanremo, al fianco di Orietta Berti, cantare l’avvolgente Rumba di tango. Qualcuno aveva storto il naso, assistendo alla svolta falettiana. Ma due anni dopo, sempre sul palco dell’Ariston, Giorgio Faletti aveva costretto tutti a ricredersi, anche i suoi più feroci critici. Signor tenente, il brano secondo classificato dietro Passerà di Aleandro Baldi, è un urlo disperato di un carabiniere, nell’Italia post stragi di mafia, e insieme di un paese intero, piegato dalla schiacciante vittoria della criminalità organizzata su uno Stato impotente, quando non colpevolmente colluso. Quelle parole recitate e cantate con l’inflessione siciliana diventano improvvisamente il manifesto di una nazione. Sono solo canzonette, forse, ma ogni tanto servono anche a qualcosa.
Gli occhi morfologicamente tristi di Faletti, fino a pochi anni prima in contrasto con l’esplosiva comicità dei suoi personaggi, ora sono perfetta maschera di un grido di dolore e di frustrazione. Premio della critica, dischi di platino, premio Rino Gaetano e stuoli di inflessibili critici musicali in visibilio. Un’altra vittoria eclatante, per l’uomo che volle fare tutto e seppe farlo bene. Chiunque altro si sarebbe accontentato, Faletti no. L’ultima svolta clamorosa è del 2002, con la pubblicazione del thriller Io uccido. Anche in quel caso, qualcuno aveva sorriso, magari ripensando al vecchio adagio secondo cui in Italia siamo tutti scrittori. Quattro milioni di copie vendute, traduzioni in ogni angolo del mondo, riconoscimenti internazionali e critiche entusiaste: altro colpo riuscito, forse il migliore della sua vita.
Da comico scanzonato a cantante impegnato, e infine scrittore acclamato. Un successo commerciale che per una volta, nell’arido mondo della letteratura italiana, era riuscito a mettere d’accordo anche i critici. Ma magari è solo un caso, un libro riuscito bene e nulla più. E invece no, visto che anche il secondo romanzo Niente di vero tranne gli occhi diventa un caso editoriale, con più di tre milioni di copie vendute. E ora che Faletti è diventato uno scrittore apprezzato, un intellettuale stimato, che fa? Si regala piccole incursioni nel cinema: Notte prima degli esami (conquistando una nomination ai David di Donatello), Cemento armato, Baària, Il sorteggio. Sembra che Giorgio Faletti voglia spiazzare tutti, continuamente alla ricerca di nuovi stimoli artistici, senza preoccuparsi di mischiare l’alto e il basso, la ricercatezza alla popolarità. E in fondo è solo questo il segreto del suo lungo e diversificato successo: la poliedricità, la capacità di far tante cose diverse, e a volte antitetiche, e di farle tutte bene, senza perdere nemmeno un briciolo di credibilità.