Di sociale è rimasto solo il nome. O quasi. I “social bond”, obbligazioni nate nel mondo anglosassone per finanziare iniziative utili per la collettività, sembrano in molti casi più uno strumento di marketing bancario che un mezzo a sostegno di progetti benefici. Tra le banche italiane che li propongono c’è, infatti, chi gira tutti i proventi alle organizzazioni non profit, ma non dice quali. E chi invece dichiara il destinatario, ma gli fa arrivare “a titolo di liberalità” solo lo 0,5% di quanto raccolto dai risparmiatori. Dall’indagine sul settore condotta da ilfattoquotidiano.it emerge insomma uno spaccato deludente rispetto alle aspettative create dal nome di questi prodotti. Che, nella versione originaria, garantiscono a chi li sottoscrive un rendimento e al tempo stesso indirizzano un flusso di denaro a un ente non lucrativo o a un suo singolo progetto. Negli ultimi tempi alcuni istituti di casa nostra, in prima fila Ubi Banca e Intesa Sanpaolo, hanno iniziato a proporli facendo leva su una platea di investitori responsabili e impegnati o semplicemente stufi della solita “finanza marcia”. Peccato che, cucinati in salsa nostrana, abbiano perso gran parte delle caratteristiche originarie. E, alla prova dei fatti, mostrino più di un punto debole. Soprattutto sul fronte della trasparenza: al momento della firma è praticamente impossibile per il sottoscrittore avere la certezza di destinare una cifra congrua a uno specifico progetto.
Per Ubi il sociale vale lo 0,5% dell’emissione – Nel caso, per esempio, di Ubi Banca e delle sue controllate, il prospetto (un “foglietto di istruzioni” che il cliente ha il diritto di farsi consegnare) riporta con evidenza l’organizzazione destinataria e il progetto sostenuto. Ma solo lo 0,5% della raccolta finisce effettivamente nelle casse della onlus, della fondazione o dell’ente di ricerca. Così, a fronte di 50 social bond Ubi Comunità emessi da aprile 2012 a oggi, con sottoscrizioni per 522 milioni di euro da parte di oltre 20mila clienti, l’istituto ha devoluto agli enti non profit solo 2,6 milioni. Prendiamo l’ultimo della serie, il prestito obbligazionario biennale Ubi Comunità per Fondazione Rita-Levi Montalcini onlus, in collocamento fino al 13 agosto: se l’importo di 20 milioni sarà sottoscritto per intero, all’ente fondato dalla scienziata scomparsa nel 2012 andranno 100mila euro. Ma la banca non prende commissioni. Quanto al rendimento, il risparmiatore avrà diritto a un tasso annuo nominale lordo dell’1,5%, pari all’1,11% netto: poco più di un Btp a 5 anni, meno di un titolo di Stato decennale. Il ritorno economico, spiegano da Ubi, dipende però dalle condizioni di mercato. Per esempio i titoli collocati lo scorso novembre per un progetto della Fondazione San Patrignano garantivano un tasso annuo lordo del 2,1%. Anche in quel caso l’emissione è stata di 20 milioni e alla onlus fondata da Vincenzo Muccioli, di cui Gian Marco e Letizia Moratti sono oggi i principali finanziatori, sono andati 100mila euro. Stesso interesse e identico ammontare per l’emissione collegata alla creazione di borse di studio per ricercatori in campo oncologico, progetto dell’Airc. E’ invece dell’1,9% annuo lordo il tasso sul bond, anch’esso biennale, che vede come beneficiario la Caritas Lombardia per il progetto regionale “Anno di volontariato sociale” rivolto a 150 giovani. Il collocamento si è concluso il 9 maggio, con sottoscrizioni per 20 milioni. Va detto che la quota dello 0,5% non è un’eccezione: anche la tedesca Deutsche Bank, che sta collocando in Italia il suo primo prestito obbligazionario solidale, ha stabilito di devolvere alla Fondazione Banco alimentare un massimo di 100mila euro se la raccolta raggiungerà i 20 milioni.
Per Banca Prossima i nomi dei beneficiari restano segreti – Meccanismo diverso in casa Intesa Sanpaolo per i titoli obbligazionari “Serie speciale Banca Prossima”. L’istituto non incassa commissioni e fa sapere che l’intero ammontare della raccolta viene utilizzato per dare credito agevolato alle organizzazioni non profit, ma è impossibile sapere quali. A fare da tramite è appunto Banca Prossima, controllata del gruppo presieduto dal bresciano Giovanni Bazoli, ex consigliere di Ubi, recentemente finito nel mirino della magistratura. La banca, nata nel 2008, è infatti specializzata nei finanziamenti all’economia sociale. Il cliente dovrà “fidarsi” della sua competenza nella selezione dei progetti da sostenere, accettando un rendimento inferiore a quello di mercato proprio in nome della finalità benefica. I “soggetti operanti nel settore nonprofit laico e religioso” a cui vanno i fondi non vengono resi noti, se non in termini molto generici e diversi mesi dopo l’emissione. Per esempio, chi è stato finanziato con i 40,13 milioni di euro ottenuti grazie al primo titolo “Serie speciale”, offerto al pubblico tra ottobre e dicembre 2013 con un tasso fisso lordo annuo del 2%? L’avviso inviato ai risparmiatori a fine giugno spiega solo che i destinatari, di cui non è indicata nemmeno la dispersione geografica sul territorio nazionale, sono stati 160, tra cui 25 progetti di inserimento lavorativo di cooperative sociali, altrettanti “adeguamenti di locali per l’assistenza sociale”, 32 “ristrutturazioni di spazi parrocchiali”, 7 “rinnovamenti e ampliamenti” di associazioni che si occupano della “diffusione della cultura musicale” e così via.
Tasso inferiore ai rendimenti di mercato – Stesso copione per il secondo bond, scadenza 2019, il cui collocamento è terminato il 4 luglio. Il documento con le condizioni dell’offerta informa che il tasso lordo annuo è dell’1%, inferiore ai rendimenti di mercato di obbligazioni Intesa Sanpaolo con la stessa durata, ma “il maggior costo sostenuto dall’investitore sarà interamente trasferito (nella forma di un tasso passivo più basso, ndr) a favore del prenditore del finanziamento erogato da Banca Prossima”.
Per Banca Etica niente social bond. Ma tutti i finanziati sono censiti sul sito – Discorso a parte per Banca Etica, una popolare che tra i soci vede anche Bpm e Bper. L’istituto presieduto da Ugo Biggeri non è entrato nel comparto nascente dei social bond “all’inglese”, ma promette a chi sceglie i suoi prodotti di risparmio, compresi i prestiti obbligazionari, di utilizzare tutta la raccolta per “sostenere le organizzazioni dell’economia civile e solidale accompagnandole nei loro processi di sviluppo progettuale o imprenditoriale”. Quanto alla trasparenza, tutti i finanziamenti agli enti non profit sono censiti (con nome, settore di attività, importo e tipo di finanziamento) sul sito della banca. In questo momento sono disponibili circa 5mila schede sui destinatari del credito. Esclusi solo i privati.
Come si diventa beneficiari – Ma come vengono scelte le organizzazioni beneficiarie? Dall’indagine de ilfattoquotidiano.it emerge che spesso per rientrare tra i beneficiari serve rapporto pregresso con la banca. Da Ubi riferiscono che deve trattarsi di “realtà significative nei territori di riferimento”, caratterizzate da “efficienza gestionale nonché alto impatto sociale” e “adeguato merito creditizio”. Tuttavia, spiega una nota dedicata ai servizi per il terzo settore riuniti sotto il cappello Ubi Comunità, “alla base di ogni social bond c’è un rapporto consolidato e/o uno specifico progetto di partnership tra organizzazione beneficiaria e banca”. Nel caso di Banca Prossima, invece, i beneficiari dei prestiti vengono individuati utilizzando il modello di valutazione creditizia studiato ad hoc dalla banca per il non profit: un rating che tiene conto di indicatori come il radicamento sul territorio e la capacità di raccolta fondi.
Una strada da costruire con l’aiuto del governo. Londra insegna – A livello internazionale l'”impact investing”, cioè gli investimenti che puntano a generare profitti ma anche effetti positivi sulla società o l’ambiente, hanno attirato l’interesse di diverse banche d’affari e gestori. Che hanno lanciato fondi di investimento specializzati. In Gran Bretagna, poi, negli ultimi anni sono decollati i “social impact bond” (Sib), obbligazioni che danno all’investitore un ritorno economico solo nel caso in cui vengano raggiunti determinati risultati sociali. Il caso più noto è quello del Sib confezionato dal governo di Londra, tramite il ministero della Giustizia, per finanziare il recupero dei detenuti del carcere di Peterborough: garantirà un guadagno solo se il tasso di recidiva dei detenuti scenderà almeno del 7,5% rispetto a quello medio degli altri carcerati. Intanto, ai progetti che favoriscono il loro reinserimento nella società va il 100% della raccolta.