Dopo il meeting dedicato ai giochi di prestigio, il meeting della ‘supercazzola’ monetaria: ormai Mario Draghi non sa più cosa inventare e, soprattutto, cosa raccontare agli analisti nel corso delle sue lunghe e noiose conferenze stampa post-board.
Ieri abbiamo toccato l’acme dello strazio, con i giornalisti che insistevano cocciutamente nel chiedere maggiori dettagli sulle future manovre di “Quantitative Easing”, su quando cominceranno, su cosa si farà esattamente, e il Presidente che ripeteva il solito mantra: “Siamo pronti ad adottare misure straordinarie”, “Adotteremo tutte le misure necessarie quando ce ne sarà bisogno”, “Le aspettative d’inflazione rimangono ancorate (a che, non s’è capito)”, “Non c’è un reale rischio di deflazione”… Un copione già visto mille volte e riassumibile nella semplice formula: bla,bla,bla.
E intanto le celebratissime manovre di espansione monetaria annunciate nell’ultima riunione hanno sortito l’effetto che temevo e che avevo preannunciato (in splendida solitudine, ahimè) su questo giornale: nessuno. Il cambio euro/dollaro è sempre sopra 1,35, l’inflazione è sempre ai minimi termini, la disoccupazione cresce, il trend del ciclo c’ha la stessa vitalità di un partito fondato da Mario Monti. Nulla di nuovo sotto il sole quindi? No. Qualcosa è successo.
Il Consiglio Europeo del 26 e 27 giugno ha sfornato l’attesa nomina dell’ultra-conservatore Jean-Claude Juncker quale prossimo Presidente della Commissione Europea, nonostante la sfrenata protesta del Premier inglese Cameron (interessato, sia chiaro, solo a dimostrare che i meccanismi democratici in Europa non possono funzionare) e con l’apporto determinante del PSE e di Matteo Renzi.
L’accordo raggiunto prevedeva quale contropartita una maggior flessibilità nell’applicazione del “Patto di Stabilità” mediante la non computazione nel rapporto deficit-Pil dei danari spesi per investimenti infrastrutturali e per il cofinanziamento dei progetti finanziati dall’Ue.
Almeno questa è la storia che ci hanno raccontato le fanfare del Pd.
Dopo manco due giorni dalle promesse, ecco che Wolfgang Schauble, uno dei più fedeli compagni di merende della Merkel, ha sentito la necessità di sbugiardare il nostro Governo, profondendosi più volte in dichiarazioni sarcastiche e insultanti. Angela e Wolfgang come Totò e Nino Taranto quando intortavano il padrone di casa per non pagare l’affitto: la prima si traveste da procace inquilina pronta a qualsiasi compromesso, il secondo fingendo scandalo butta fuori di casa il malcapitato che ormai ha rinunciato a farsi pagare.
Ma non finisce qui: un impiegato del Governo tedesco di nome Jens Weidmann (governatore della Banca Centrale tedesca), avvalendosi della nota indipendenza del banchiere centrale (non mi vota nessuno, non riferisco a nessuno, non dipendo da nessuno, dico quello che mi pare) si permette addirittura di rimbrottare apertamente il Premier italiano dopo aver rimbrottato quello francese appena una settimana fa.
Insomma:
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tutti zitti e buoni fino al giorno delle elezioni europee sperando che gli euro-scettici non vincano;
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sceneggiata di Mario Draghi al primo meeting Bce post-voto con un paio di pseudo-manovre sui tassi del tutto inefficaci;
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fintona di corpo di Angela a Matteo per ottenere la nomina di Juncker a Presidente della Commissione e…
Il pacco è servito! Ora possono tornare a farsi vedere i soliti falchi e chiarire che in Europa non si muove foglia che la BundesBank non voglia. Beh, visto che ci hanno fregati che si fa? Mumble, mumble, mumble…allora: dichiarare guerra è démodé, chiudere le ambasciate puzzerebbe di spendig review, togliere la bottiglia a Juncker è una battaglia persa…
Facciamo così: oltre che protestare, paghiamo un bel corso rapido di politica estera per Renzi e la Mogherini, dopodiché incrociamo le dita e speriamo di non fare più la figura dei gonzi.