Un mercato che non conosce crisi, nonostante sia un bene che si trovi gratis, e tutto a vantaggio delle industrie che pagano tassi di concessione irrisori, nonostante sia un bene pubblico. È l’acqua in bottiglia, un business che in Italia supera il giro d’affari di 2,3 miliardi di euro in mano a 156 società e 296 diversi marchi, benché le aziende imbottigliatrici paghino in media solo un euro ogni 1.000 litri, ovvero, appena 1 millesimo di euro per litro imbottigliato. È il quadro che esce dall’indagine annuale di Legambiente e Altreconomia, Regioni imbottigliate, che conferma il trend degli anni precedenti: i canoni di concessione per le acque minerali stabiliti dalle Regioni sono estremamente bassi, perfino in aree dove vi sono difficoltà di approvvigionamento idrico.

Questo nonostante nel 2006, la stessa Conferenza Stato-Regioni avesse provato a mettere ordine nel settore con un documento di indirizzo che proponeva canoni uniformi con l’obbligo di pagare sia in funzione degli ettari dati in concessione sia per i volumi imbottigliati, indicando come cifre di riferimento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per metro cubo imbottigliato. Da allora poco o nulla è cambiato: le Regioni continuano a svendere un bene comune. La maglia nera va al Molise la cui regolamentazione fa ancora riferimento a un Regio Decreto del 1927, alla Provincia autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna e Sardegna. Le seguono le regioni che pur applicando un doppio canone, impongono importi inferiori a 1 euro al metro cubo, diversamente da quanto indicato dalle linee guida nazionali. Per il 2014 queste sono, di nuovo, la Basilicata, la Campania e la Toscana.

Quello che il dossier di Legambiente e Altreconomia mette in luce è che, se si considera che l’acqua in bottiglia viene mediamente venduta a un prezzo di 0,26 euro al litro, significa che gli italiani – dal momento che le aziende pagano 1 euro ogni mille litri – pagano per più del 90% i costi della bottiglia, dei trasporti e della pubblicità, unito ovviamente al guadagno dell’azienda in questione, e solo per l’1% l’effettivo costo dell’acqua.

Nonostante l’acqua potabile si possa trovare anche gratuitamente, rifornendosi dalle fontane pubbliche, o a costi più contenuti, dal rubinetto di casa, gli italiani continuano a comprare quella in bottiglia. Con la conseguenza che, mentre i consumi in generale diminuiscono, quelli dell’acqua in bottiglia aumentano. Nel 2012 sono arrivati a 192 litri d’acqua minerale per abitante, più di una bottiglietta da mezzo litro al giorno a testa, che confermano il primato europeo del Paese: 12,4 miliardi di litri imbottigliati, per un giro d’affari da 2,3 miliardi di euro.

Un’attività che, però, ha anche un grande impatto ambientale. Per soddisfare questo mercato vengono infatti utilizzate oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica da 1,5 litri, per un totale di più di 450 mila tonnellate di petrolio utilizzate e oltre 1,2 milioni di tonnellate di Co2 emesse. “Nei giorni scorsi Expo 2015 spa e Sanpellegrino, società del gruppo Nestlé leader in Italia nel mercato delle acque in bottiglia – commenta Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia– hanno reso nota la propria partnership in vista dell’Esposizione universale: l’acqua Nestlé sarà l’acqua di Expo. Crediamo che per il governo italiano e per la Regione Lombardia, che sono tra gli azionisti di Expo spa, la manifestazione avrebbe dovuto rappresentare un momento in cui promuovere la qualità dell’acqua di rete e il consumo di acqua di rubinetto, e non trasformarsi in un veicolo di marketing per una multinazionale dell’acqua, che in Lombardia imbottiglia miliardi di litri tra acqua e bibite, riconoscendo in entrambi i casi canoni irrisori all’amministrazione pubblica”.

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