Perché economia e uomo devono fare a pugni senza trovare (almeno) un pezzetto di strada comune da percorrere insieme? La Grecia vende, svende e privatizza finanche le isole (come l’atollo di Elafonissos nel Peloponneso), ma non solo in casa propria bensì anche all’estero. A Roma in una traversa di via Veneto un albergo di cinque piani attualmente in disuso è di proprietà dello Stato greco. E a causa della crisi il ministero ellenico degli esteri ha deciso di venderlo, immaginando di ottenere denari: pochi, maledetti e subito.
E ignorando, invece, un’alternativa valida alla svendita come si fa quando un negozio chiude mestamente i battenti. Quel pezzo di Grecia nella capitale italiana (non in uno Stato qualsiasi del pianeta) potrebbe invece essere destinato al Centro ellenico di cultura, ovvero ad un polo euro mediterraneo che dia un segno di vita intellettuale e artistica proprio a cavallo fra i due semestri di presidenza europea di Grecia e Italia, così come una serie di realtà associative capitanate dal Consiglio dei Greci nel Mondo (il Sae) avevano da tempo proposto.
Un ponte di patriottismo euro mediterraneo lì dove si incontrano la filosofia greca e il diritto italiano, intrecciate da arte, letture, mostre. Per dare una casa ai mille impulsi culturali che le due sponde dell’Adriatico hanno fecondato ma che faticano terribilmente a trovare una placenta comune. L’operazione, tra le altre cose, potrebbe avere un doppio ritorno: valorizzare un patrimonio immobiliare di contenuti da far fruttare nel tempo grazie alla filantropia e alla partecipazione di privati ed impedire che un megafono per l’antropos sia destinato all’ennesima vittima sull’altare dello spread. Dove fallimenti, pignoramenti e svendite hanno ormai pericolosamente monopolizzato neuroni e braccia, nella quasi indifferenza generale.