Croce delle maestre e delizia dei bambini, vengono studiate nei minimi dettagli, quotate, riposte alla stregua di tesori inestimabili. Poi un giorno finisce la scuola. Ma, prima ancora, finiscono i pacchetti. Dalla sera alla mattina diventano introvabili dal giornalaio, da qualunque rivenditore. Sono stati restituiti alla ditta. L’album rimane lì. Incompleto. Un’attività che li ha fatti palpitare, li ha tirati giù dal letto alle 7.30 anche alla domenica mattina, col miraggio di trovare il tassello che manca per dare un senso, ora termina di colpo. Tutto finito.
L’album fa la spola tra una mensola e un tavolino, per poi ritrovarsi inesorabilmente negletto in un cassetto. Senza un senso.
Ci avevano creduto. Ma tutto si risolve in nulla. Non erano preparati ad una fine così. Forse ad averlo saputo avrebbero investito in altro le loro energie. Avrebbero almeno provato a richiedere quelle mancanti alla casa editrice. Eppure no, hanno scambiato e sperato fino all’ultimo. Poi un giorno, semplicemente, quelle figurine non si vendevano più. Basta.
C’è solo da voltare pagina e andare avanti. Investire in qualcos’altro le energie.
Me l’aveva fatto leggere Linda, al liceo: lei a 14 anni aveva capito cose che io fatico ad afferrare parecchi lustri dopo. Lo scriveva Milan Kundera: “Per questo la vita somiglia sempre a uno schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro”.
Sfoglio per l’ultima volta l’album ingiallito e stropicciato. Con molti vuoti. Per carità, sono solo figurine: niente paragoni esistenziali!
Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 30 giugno 2014