Secondo le statistiche pubblicate recentemente da Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Unione Europea, nei primi sei mesi di quest’anno il numero degli immigrati che sono approdati in Europa ha già sorpassato il totale del 2013. Il problema dell’immigrazione è particolarmente serio alla luce dell’allargamento dell’Eu e dell’instabilità politica nel Medio Oriente. Nel 2013, ad esempio, i rifugiati siriani erano pari ad un quarto degli immigrati, nel 2014 dovrebbero salire ad un terzo. Se, come molti pensano, la costituzione del Califfato in Siria ed Iraq da parte dello Stato Islamico di Abu Bakr al Baghdadi, organizzazione che fa parte del terrorismo islamico, destabilizzerà ulteriormente la regione, è probabile che nei prossimi mesi assisteremo ad un aumento del numero delle persone che cercano asilo in Europa.
Come affrontare questi problemi? Certo non chiudendo le frontiere e barricandosi nella Fortezza Europa, come vorrebbe Marine le Pen o Nigel Farage ed i suoi seguaci. Il problema dell’immigrazione è un problema globale che va risolto a livello internazionale, altrimenti si finisce per discriminare nei confronti delle nazioni geograficamente più vicine alle zone da dove questi arrivano.
Questa settimana una senatrice italiana del Movimento 5 stelle, Cristina De Pietro, è riuscita a far approvare a livello internazionale una risoluzione sull’immigrazione che poggia proprio su questi principi – quindi importante – in occasione della sessione annuale dell’Assemblea Parlamentare dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce – Organization for Security and Co-operation in Europe nella terminologia anglosassone) che quest’anno si è tenuta a Baku, in Azerbaijan. L’Osce è un ente internazionale che promuove la pace, il dialogo politico, la giustizia e la cooperazione in Europa, ne fanno parte 57 nazioni per un totale di 2 miliardi di persone, è quindi la più grande organizzazione regionale per la sicurezza.
Nella prima risoluzione internazionale della legislatura ad essere approvata a livello internazionale si esortano i paesi membri Osce che sono anche membri dell’Unione Europea a riformare il cosiddetto “sistema di Dublino” e, in particolare, del Regolamento n. 604 del 26 giugno 2013. Questi prevedono che, per evitare che gli emigrati facciano domanda d’asilo in più di un paese, nell’Unione Europea, in Svizzera e Norvegia, lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo generalmente è lo Stato in cui l’emigrato ha messo piede per la prima volta. Dato che l’Italia è il punto d’ingresso più gettonato, il problema dell’immigrazione nel nostro paese assume dimensioni ben più grandi che in Danimarca, Finlandia o nel Regno Unito. Ed infatti tra i 15 votanti che hanno rifiutato di approvare la risoluzione c’è la Gran Bretagna ed alcuni parlamentari danesi e finlandesi.
Secondo costoro il tema dell’immigrazione deve essere di esclusiva competenza delle politiche nazionali e per i belgi il “sistema di Dublino” non avrebbe alcun bisogno di revisioni, giusto quindi che il carico resti sui paesi di prima accoglienza.
Il sistema di Dublino è dunque l’ennesimo accordo a livello europeo che finisce per penalizzare una nazione del sud, in questo caso l’Italia, rispetto a quelle del Nord. Meno male che c’è qualcuno che si è preso la briga di denunciare questa discriminazione attraverso i canali tradizionali e democratici della diplomazia invece di fare tanta caciara mediatica.