Non c’è nulla da aggiungere. Vangelo sine glossa (senza ulteriori delucidazioni) dicevano i teologi un tempo. Il punto è l’inerzia della politica. L’inerzia delle classi dirigenti europee nonostante le dichiarazioni ufficiali faticosamente elaborate. Il punto – in Italia – è la scandalosa inerzia del governo nonostante i proclami roboanti di Matteo Renzi. Flashback. Ascoltiamo il premier nel discorso al Senato del 24 febbraio per il voto di fiducia: “Noi partiremo, entro il mese di marzo, con la discussione parlamentare del cosiddetto Piano per il lavoro, che, modificando uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto di lavoro, interverrà attraverso nuove regole normative, anche profondamente innovative… Nel piano per il lavoro che presenteremo a marzo ci sarà una sorta di piano industriale per i singoli settori: sulle energie alternative… sulla chimica verde, sull’innovazione tecnologica applicata alla ricerca, sugli investimenti veri e profondi che si possono fare contro il dissesto idrogeologico …”.
Non è successo nulla di nulla. Se ne parlerà nel 2015. Niente è cambiato nelle fabbriche di schiavi cinesi in Toscana o tra gli schiavi raccoglitori di pomodori a Rosarno o tra i sikh dell’agro pontino, che si drogano per resistere a 12 ore di lavoro quotidiano. Nessun piano per il lavoro per contrastare la disoccupazione giovanile, che raggiunge il 46 per cento. In un paese, dove il precariato ha assunto dimensioni abnormi, l’Uomo del Tweet (che fugge dalla conferenza stampa a Bruxelles) ha emanato un decreto che autorizza le aziende a praticare per ben tre anni la servitù del precariato. Come definire altrimenti – se non servitù legale – la situazione di chi fa lo stesso lavoro del “compagno di banco” e prende molto meno soldi grazie a contratti fasulli pensati per una flessibilità fasulla (perché le attività cui si dedicano i precari sono del tutto “stabili” per anni). Che cosa fa il governo Renzi per questi ventenni-trentenni, nel frattempo anche quarantenni, se non seminare slogan, speculando sul loro disperato bisogno di speranza per acchiappare voti?
Ascoltando il Papa, rileggendo le encicliche sociali di Giovanni Paolo II e la Caritas in veritate di Benedetto XVI, si coglie il senso di una solida “cultura della società”, una cultura del bene comune. Una visione di criteri e valori intorno a cui organizzare il vivere insieme. Una visione del genere nel Telemaco de noantri e nella sua piccola corte è difficile trovarla. Il dramma sta qui. Il “Salvatore”, verso cui tutti si rivolgono ansiosamente, sa maneggiare efficacemente gli strumenti del potere e della comunicazione. Altro non ha in testa. Ma è privo – anche ambienti tradizionalmente moderati se ne stanno accorgendo a malincuore – di una autentica e rinnovatrice cultura di governo. Si guardino i gesti concreti attraverso cui costruisce alleanze di potere. Niente Google-Tax sui profitti miliardari tramite internet, niente Imu-Tasi alle scuole private per accontentare la gerarchia cattolica, niente Imu-Tasi alle cliniche private convenzionate nonostante le rette altissime, esaltazione del modello Marchionne che rifiuta il contratto nazionale e le norme di Confindustria e si irrita delle regole Consob, robusti regali alle banche attraverso la rivalutazione delle quote Bankitalia. Omero c’entra poco, il destino dei precari ancora meno. Galleggino come possono.
Il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2014