In principio fu Capua, la più meridionale delle colonie etrusche che si era fusa con il Popolo autoctono e matriarcale degli Oschi. Il punto di contatto con le terre selvagge dei Sanniti. La città più ricca d’Italia centinaia di anni prima di Roma. La terra del vino falerno, del giurano e del massico, dolce/amari come il sangue, inimmaginabili ai palati di oggi. Terra di argentieri, profumi e frutta formidabile, bestiame e unguenti come il meli-loto della rosa.
Qui Annibale perse la conquista di Roma (“gli ozi di Capua”): la bellissima donna capuana fu allo stesso tempo Persefone e Demetra, luogo di morte e di fertilità. Capua fu il ventre caldo delle madri che tolse le forze ai Cartaginesi, ma è a Capua che Roma impara il rituale gladiatorio, il massimo della virilità sprezzante della Morte. Qui Spartaco formerà l’esercito dei suoi ribelli. Qui nasce la commedia popolare detta Atellana: la ribellione e la satira del Potere. A circa 30 km da Capua sorgeva Suessola.
La cittadina di Suessola era ubicata all’incirca in quella zona che oggi è nella parte settentrionale del centro di Acerra, lungo la strada che conduce a Maddaloni, al di sotto di un palazzo ottocentesco in rovina conosciuto come Casina Spinelli, oggi località Calabricito. La città era di chiara origine osca. Memorabile fu la battaglia di Suessola fra Romani e Sanniti sotto le mura di questa città nell’anno 341 a.C.: in essa i Romani comandati dal console Marco Valerio Corvo sconfissero definitivamente i Sanniti che in quei luoghi bramavano di possedere la terra più fertile e ricca scendendo dall’aspro Appennino. Fu vendicata l’onta delle forche caudine, e Roma ebbe il suo granaio più fertile fino alla conquista della Sicilia e dell’Egitto.
Nel 1778 la nobile famiglia Spinelli, proprietaria della tenuta di Calabricito dove sorgeva la città di Suessola, dispose l’edificazione di una casina per intrattenere il re Ferdinando IV di Borbone durante il periodo di caccia. Che dolore e tristezza infinita per me scoprire che questa terra, la più fertile della mia Patria (= Terra dei miei Padri) da almeno quindici anni è sede di uno dei più vergognosi sversamenti di rifiuti tossici del disastro ambientale forse più negato della Storia di Italia. I fusti di diossina a tonnellate stanno ancora là, a Suessola – Calabricito.
Si possono vedere, le ceneri si disperdono ancora al vento, si possono riprendere e fotografare. Nel 1999 La Sogin rileva valori di diossina nei pozzi di Calabricito – Suessola oltre 10.000 volte il massimo consentito. Nel marzo del 2008 la Arpac rileva valori di diossina 400 volte superiori al valore massimo consentito.
Da sempre, da quando l’Uomo ha iniziato ad avere intelligenza e con essa senso religioso, l’Universo e la Vita stessa è stata sempre vista come equilibrio armonico tra la Forza Maschile e Forza Femminile. Il maschio genera e diffonde la vita, la femmina genera e tutela la vita. Parlare di “rischio ambientale al femminile” in Campania significa quindi e obbligatoriamente parlare di donne (= domina = signora). Ma di quale donna? La Campania da sempre è piena di donne bellissime simili alle Grandi Madri, le antiche gigantesse di pietra cariche di spighe e bambini che quando entri al museo di Capua sembrano saltar giù e urlare tutte insieme “Attento, questa è la terra delle Donne!”.
Certo, tutto è cambiato da quando l’antica Capua aprì le porte ad Annibale invitandolo a godersi la vita: eppure, tutto è rimasto lo stesso: “Amplexu multoque mero somnoque virorum /profliganda acies…”. Silio Italico, nel suo poema sulla guerra punica, scrive della vecchia Capua che “è con gli amplessi, il molto vino e il sonno che va sbaragliato un esercito che né spade né fiamme, né Marte sfrenato hanno potuto abbattere”. Ma, come la loro Terra, queste Donne non sono solo donne di Piacere, sono donne soprattutto fertili. Sono madri (matres): e, da almeno tre millenni, “e’ figlie so’ piezz’ e core!”.
Il legame tra Terra madre e figlio nella mia Patria è indissolubile e più forte che altrove, come più forte tra atomi è il “legame covalente” indissolubile rispetto al “legame elettrostatico” che lega alle Madri i Figli dei Fenici, dei Celti, dei Galli. Che differenza c’è tra una Mater matuta, Filumena Marturano e Miss Novembre 2008 Anna, seduta sul trono di ecoballe di Taverna del Re nel calendario di “Napoli vive e io la difendo” e che decide di non lasciare il presidio di Taverna del Re rinunziando a fare chemioterapia contro il tumore che la ucciderà nel 2009? Nessuna. Sono la stessa antica Grande Madre della stessa antica Grande Terra . E i figli maschi, come me, non possono non essere obbligatoriamente devoti e ubbidienti alla Mamma, a colei che non rappresenta, ma è , la “casa” (in greco oikos da cui “ecologia” = La scienza che studia l’Ambiente = casa) .
Può esistere pertanto (e forse rispetto a tutto il mondo) sensibilità femminile più attenta ai problemi della ecologia di una donna Campana? Io non credo.
Da oltre tre millenni la Terra e la Madre sono la stessa entità vitale , nella mia Terra. E queste Donne, finanche vendute alla Camorra per fame o per avidità, se sentono in pericolo il Figlio, hanno capacità di reazione e di difesa che nessun Esercito al Mondo è in grado di sconfiggere. Sono le Matres Matutae: sono la vita e la sua tutela.
Solo la potenza e il coraggio delle “Mamme delle Cartoline” ha sconfitto la tracotante arroganza del casalese Schiavone e ha fatto commosso alle lacrime il napoletano Presidente della Repubblica, forse ricordandogli quanto in più forse poteva fare e forse non ha fatto rispetto a loro nel difendere la terra patria dai camorristi. Oggi, in Campania, se abbiamo una sola possibilità di recuperare e di uscire da questa tragedia dei rifiuti urbani e dei rifiuti tossici, dobbiamo puntare sulle donne: offrendo loro saggezza e fermezza virile, con indirizzi di diagnosi e cura chiari e non contraddittori e con una comunicazione anche scientifica che non faccia dell’arroganza la coperta corta di palesi menzogne. Si rischia solo di provocare la loro ben nota ed invincibile Furia!
Lasciamole vegliare ed operare serene, al capezzale del figlio, ad aspettare che la febbre passi: “adda passà ‘a nuttata”. Grazie per quello che, ancora una volta, in questi anni bui, ci avete insegnato! Molto più di tutti gli studi più o meno pseudoscientifici che continuano a propinarci, senza volutamente cercare il nesso di causalità, per non farvi infuriare…
Nota: nella foto Anna Varriale, miss Novembre 2008 del calendario Napoli vive e io la difendo dedicata alla battaglia di Taverna del Re che non fece le chemioterapie per difendere Giugliano dai tir e che morì nel maggio del 2009 facendomi giurare sul letto di morte del Pascale che non avrei mai abbandonato la battaglia sulla verità dei rifiuti tossici in Campania.