Il presidente ha governato per tre legislature prima delle dimissioni per la condanna per falso ideologico. Sotto il suo dominio ha dovuto affrontare numerose vicende giudiziarie che hanno avuto un unico comune denominatore, cioè funzionari accusati dalla Procura di essere al servizio di parenti e amici
“Se Errani dovesse dare le dimissioni non deciderebbe il partito, ma Errani stesso”. Questo si diceva nei corridoi di viale Aldo Moro, la sede della Regione Emilia Romagna, poco più di due anni fa, quando il governatore era stato coinvolto nel caso Terremerse, e questo è quello che è puntualmente accaduto appena la sentenza d’appello è stata sfavorevole ad uno dei più potenti uomini dell’ex Partito Comunista Italiano poi diventato Pds, Ds e infine Partito Democratico. Una poltrona che resiste da quattordici anni: la Regione rossa per eccellenza ha visto al potere l’uomo fidato di Pier Luigi Bersani per la settima (2000-2005), ottava (2005-2010) e nona legislatura (2010-2015). In questi anni tra amministrazione ordinaria, terremoti e alluvioni succede di tutto. E – anche prima della condanna per falso ideologico – non sono mancati gli scandali con un denominatore comune: funzionari accusati dalla Procura di essere al servizio di parenti e amici.
C’è naturalmente la vicenda Terremerse: la cooperative del fratello di Errani ottiene 1 milione di euro di finanziamento dalla Regione, il Giornale ne scrive nel 2009 ipotizzando l’illecito e il governatore fa scrivere una relazione per spiegare la situazione. Il politico è stato condannato per falso ideologico (avrebbe spinto a scrivere cose non vere per depistare le indagini) e così i due funzionari che fisicamente prepararono l’atto Filomena Terzini e Valtiero Mazzotti. Condanna invece per truffa aggravata per Aurelio Selva Casadei, il collaboratore che attestò (dicendo il falso) dopo un sopralluogo che la situazione della cooperativa era in regola per ricevere i fondi. Da ricordare anche la storia che ha per protagonista l’ex segretaria di Pier Luigi Bersani, Zoia Veronesi. Il pm ha chiesto 4 mesi e 20 giorni di reclusione per truffa aggravata per lei e per Bruno Solaroli, l’ex capo di gabinetto del presidente Errani. Proprio grazie a una firma di quest’ultimo, secondo l’accusa, la funzionaria avrebbe lavorato per Bersani pagata con i soldi della Regione (per un totale di circa 140 mila euro dal 2008 al 2010).
Per il resto è una legislatura movimentata, con i giudici contabili che hanno contestato spese e scontrini a tutti i gruppi politici. Tanto che a inizio 2014 il capogruppo regionale Pd Marco Monari si è dimesso: su di lui pesava l’accusa di 30 mila euro spesi in soli 19 mesi tra pranzi e cene, rimborsati con soldi pubblici. L’inchiesta che aveva fatto tremare l’intero consiglio regionale, vicinissimo ad un azzeramento e a nuove elezioni, aveva messo in luce decine di rimborsi regionali per le spese più disparate coinvolgendo tutti i capigruppo dei partiti presenti in consiglio regionale. Per Errani c’è invece un’inchiesta su una serie di rimborsi per “auto blu”, intestati a lui come “consigliere regionale” (in quanto eletto nelle file Pd, oltre che governatore) per un totale di 20mila euro da giugno 2010 ad agosto 2011. Molti spostamenti finiti al centro dell’analisi dei pm erano tra la sede della Regione a Ravenna, dove Errani risiede.
Errani è nato a Massa Lombarda in provincia di Ravenna il 17 maggio 1955. Il giovane dirigente della Federazione Giovanile dei Comunisti Italiani di Ravenna sul finire degli anni settanta assaporava la lotta dei movimenti giovanili da dentro il partito. Pragmatico Errani nella politica lo è stato fin da subito, tanto che la carica massima dell’esecutivo regionale l’ha ottenuta ricevendo il testimone nientemeno che dalla giunta dell’ulivista convinto Antonio La Forgia, ex dell’esecutivo guidato nel 1995-96 da quel Pierluigi Bersani che diventò ministro. Nel 2000 la percentuale dell’elezione è di quelle consistenti 56,5%, poi si alza al 62,5% del 2005, infine il 52,1% con cui nel 2010 viene rieletto non senza polemiche per via di un “terzo mandato” tecnicamente impossibile.
Per capire il modello Errani, quel modello emiliano che almeno fino a due anni fa era rimasto senza pari per ogni governatore italiano anche del centrodestra, bisogna però fare un passo indietro. Errani diventa consigliere comunale Pci a Ravenna nel 1983 e ricopre questa carica fino al 1995. Tra l’ottobre del 1992 e il giugno del 1993 è assessore alle attività economiche nella giunta comunale del sindaco Giovanni Miserocchi. Errani in quei giorni di fermento, quando Occhetto saluta il Pci e costruisce l’arca di Noé che chiamerà Pds si sistema a bordo, ma in posizione di comando. La poltrona di sindaco di Ravenna, sede della più importante cooperativa mondiale, la Cmc, viene lasciata prima al docente D’Attorre poi a Vidmer Mercatali (che nel 2013 oramai da senatore Pd della Cmc stava per diventare presidente), infine dal 2006 all’ex compagno di Fgci, Fabrizio Matteucci.
Meglio l’Emilia Romagna anche perché Errani con la sua capacità di mediazione e di aggiustamento tra anime e partiti della coalizione di centrosinistra, che improvvisamente si allarga proprio a metà anni novanta verso il centro cattolico e una parte di Dc sempre stata all’opposizione, diventa il raccordo prima tra bersaniani (a cui apparteneva) e dalemiani, poi tra ex Pci e prodiani. Con lui, Miro Fiammenghi, il coetaneo ravennate che gestisce i rapporti sul territorio romagnolo, e non solo, con il mondo dei piccoli e medi poteri locali, da Hera fino alle Coop passando per Unipol. Fiammenghi è vicinissimo a Bersani, quindi per Bersani è vicinissimo a Errani. Legame che rimane in piedi tutt’oggi, ma che subisce uno scossone proprio quando l’ex segretario nazionale del Pd, prima vince le primarie, poi vince ‘perdendo’ le elezioni del 2013. Finisce la storia di una leadership. Così la presidenza della giunta regionale, che fino a un anno fa sembrava un trampolino di lancio per una carriera di governo a Roma, è diventato spazio vuoto dove si dovrà sedere probabilmente un renziano. Il vecchio Pci dell’Emilia Romagna saluta simbolicamente il suo Novecento politico.