Quando parliamo di “emergenza immigrazione” ci riferiamo alle condizioni disperate di chi si lancia in un viaggio interminabile verso le coste della penisola italiana o al problema di chi si trova a dover accogliere un numero spropositato di migranti senza fondi e alloggi da offrire? La domanda potrebbe sembrare inutile, ma invece io credo sia fondamentale per cercare di capire quale possa essere la strada verso una soluzione, ammesso che ci sia. E soprattutto per comprendere il significato di espressioni come “destinare fondi all’emergenza immigrazione” o “chiedere una maggiore partecipazione europea”.

Proviamo a porre la questione in modo diverso. Se i migranti che dall’Africa Sub-Sahariana, dal Sahel o dal Medio Oriente giungono a fatica fino alle coste del Maghreb si trovassero davanti un immaginario muro invalicabile, qualcosa di simile alle recinzioni che separano le enclaves spagnole Ceuta e Melilla dal resto del continente africano, e quindi non potessero più imbarcarsi alla volta della Sicilia, l’”emergenza immigrazione” potrebbe dirsi rientrata?

Il centrodestra italiano sembrerebbe propendere per una risposta affermativa. Infatti quasi ogni volta che un membro del Pdl viene chiamato a dire la sua sull’aumento vertiginoso degli sbarchi non perde l’occasione di elogiare le antiche intese con il Colonnello Gheddafi. E il ruolo determinate giocato dall’ex leader dello Stato libico nel prevenire gli imbarchi. Finché il governo libico faceva la parte del muro immaginario di cui parlavo prima l’immigrazione non era un problema. L’emergenza è scoppiata quando il muro è crollato.

Ciò significa che per il centrodestra “emergenza immigrazione” non significa flusso di milioni di esseri umani in fuga dalla disperazione. L’emergenza nasce quando il flusso raggiunge le coste e le città italiane. Non abbiamo spazio e soldi per accogliere queste persone. Questa è la base argomentativa più inflazionata. Che poi potrebbe ridursi alla semplice domanda “dove li mettiamo?”. E la risposta più comune a chi, in maniera a volte un po’ vaga e fumosa, prova a difendere il diritto all’accoglienza di ogni migrante è “se hai spazio ospitali a casa tua”.

Questo approccio politico al problema immigrazione, al di là della sua discutibilità sostanziale, ha un grande vantaggio su tutti gli altri. Permette di formulare soluzioni pratiche e concrete. Siglare nuovi accordi con i Paesi nordafricani è oggi impossibile, vista la situazione di instabilità che regna nella regione. Ma un più intenso pattugliamento delle coste e un rafforzamento della politica europea di frontiera sono obiettivi non impossibili da realizzare.

Per il centrosinistra la situazione è molto più complessa. I suoi esponenti non possono certamente permettersi di assumere le rigide posizioni del centrodestra, esemplificate nella celebre frase dell’ex leader del Carroccio Umberto Bossi, “föra da i ball”. Ma una buona parte del suo elettorato non gli perdonerebbe neppure una politica di eccessiva arrendevolezza ai flussi migratori. E allora l’”emergenza immigrazione” assume per il centrosinistra l’immagine e i volti delle persone morte durante le traversate. Il problema si consuma lì, nel Canale di Sicilia. E la soluzioni proposte sono sostanzialmente due: un pattugliamento delle coste meridionali (in stile Mare Nostrum) per prevenire tragedie in mare ed assicurare alla giustizia il maggior numero possibile di scafisti, e un crescente coinvolgimento degli altri Paesi europei nella condivisione del fardello numerico ed economico della crescente immigrazione (“La Sicilia non è solo la frontiera italiana, è anche la frontiera dell’Europa”, etc. etc.).

Il punto è che questi non sono che palliativi, rispetto a una criticità strutturale geopolitica che è destinata ad aggravarsi. Viviamo a pochi chilometri di distanza da un continente che sta lentamente morendo, e che funge da catalizzatore del flusso di esseri umani in fuga da un Medio Oriente incredibilmente instabile. L’Africa Mediterranea non fa più da argine. E il numero di persone che cercano di allontanarsi da guerre e povertà è destinato ad aumentare.

Bloccare il movimento dei migranti lì dove termina il continente africano risolve solo una piccolissima parte dell’emergenza immigrazione, quella europea del “dove li ospitiamo?”. Affrontare l’emergenza come un problema di sicurezza marittima invece significa limitare il numero di morti sulle imbarcazioni, e questo è sicuramente lodevole. Ma lascia totalmente irrisolto il problema strutturale. È un tentativo di smussare la punta dell’iceberg che ci punge le coscienze. Per la prima volta avvertiamo chiaro e a casa nostra il peso delle incredibili disuguaglianze globali che abbiamo lasciato crescere negli ultimi decenni.

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