Gli incidenti del 9 luglio a San Paolo, a Belo Horizonte e la tensione serpeggiante negli ultimi mesi hanno un’origine più lontana.
Già durante la Confederation Cup dello scorso anno si è assistito – e qui con maggiore sorpresa per gli osservatori europei – a un’ondata di massicce manifestazioni di protesta che chiedevano migliori servizi pubblici e meno spesa per la Coppa del mondo e le Olimpiadi (che si terranno nel 2016 a Rio).
Un ampio dissenso che covava sotto la cenere è apparso evidente, sin dall’inizio dei mondiali, dall’impopolarità della presidentessa Dilma Roussef che ha dovuto chiedere alla regia televisiva della Fifa di non inquadrarla negli schermi giganti degli stadi per evitare bordate di fischi contro la sua persona.
Che cos’è successo al Brasile, accreditato come la settima economia del pianeta? [Stime: Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale]
Il balzo in avanti del Brasile avviene negli anni Zero del XXI secolo quando in gran parte dell’America Latina si assiste a un importante processo di crescita (maggiore dei Paesi Ocse, ma minore di Cina e India) per buona parte dovuta, come alla fine dell’Ottocento, al boom delle materie prime, al rialzo del loro prezzo, sollecitato dalle crescenti domande di Cina e India. Per il Brasile è una crescita rapida che rimargina la grave crisi economica del 1999.
A condurre il governo dal 2002 è il Partito dei lavoratori (Pt) e alla presidenza si insedia il sindacalista Luis Ignácio Lula da Silva determinando una svolta epocale poiché, per la prima volta, un partito di sinistra, legato al sindacato, giunge al governo dello Stato.
Lula realizza, con ampi consensi, due mandati presidenziali: nel 2010 lascia a una delle sue più strette collaboratrici, Dilma Roussef, la cui carica scade quest’anno con le elezioni del 5 ottobre.
Si calcola che dal 2002 l’Esecutivo abbia sollevato dalla povertà circa 35 milioni di persone (quasi l’equivalente di quanti per la prima volta hanno aperto un conto in banca), ma c’è ancora un alto 15% che vive nell’indigenza. Sono stati consolidati i consumi, è cresciuto il mercato interno – anche a vantaggio dei colossi industriali che hanno meglio digerito i programmi sociali del governo – è aumentata la piccola classe media urbana (15 milioni di persone per la prima volta hanno compiuto un viaggio in aereo). Questo quadro è stato favorito da un consistente innalzamento reale del salario minimo cresciuto, rispetto al 2003, del 72,3%.
Si tratta di un andamento complessivo il cui corso si è notevolmente rallentato, proprio in coincidenza con la presidenza Roussef. La disoccupazione è molto bassa (6% contro il 7,9% della Germania e il 13% dell’Italia), ma la crescita economica ha subito una brusca frenata, specialmente nell’ultimo anno, con una percentuale di crescita del Pil al di sotto dell’1%, un numero da vecchia Europa. Che cosa manca? Le due presidenze non sono riuscite a intervenire strutturalmente sulla distribuzione della ricchezza. Il coefficiente di Gini per il Brasile (indicatore di distribuzione della ricchezza [0 massima eguaglianza, 100 massima diseguaglianza]) è poco sopra 50, rispetto alla media dell’Unione europea che è a 30. Lo stesso coefficiente, il Brasile lo registrava all’inizio degli anni Sessanta.
In una fase di rallentamento della crescita, lo Stato si trova anche in grande difficoltà per continuare a erogare la spesa sociale, espandere i diritti e i servizi. Rispetto all’assopita Italia, il popolo brasiliano ha ancora la capacità di indignarsi, di scioperare contro l’aumento dei prezzi dei servizi pubblici di reclamare misure contro la corruzione, da sempre una piaga aperta, d’altro canto è ricorrente avere istituzioni di bassa qualità in caso di forte polarizzazione dei redditi.
Come durante il nostro boom economico, la crescita ha determinato anche aspettative crescenti sulla qualità dei servizi: i trasporti, le infrastrutture, la sanità, l’istruzione – tranne alcune eccezioni – non sono di buon livello. I divari sono anche geografici tra un Nord / Nord – Est ancora povero, con condizioni più vicine all’Africa, e aree molto sviluppate come lo stato di San Paolo e buona parte del Sud.
A parziale giustificazione sulle riforme non fatte, la difficoltà delle due presidenze ad avere numeri sufficienti in parlamento per attuare le riforme. In Brasile ci sono 27 partiti e una rappresentazione molto frammentata che costringe a continue mediazioni.
Quando nel 2007 la Fifa ha assegnato al Brasile l’organizzazione dei campionati del mondo, un’ondata generale di consenso (anche politico) ha attraversato il Paese perché il calcio è parte dell’identità brasiliana (in una misura che non ha eguali in Italia) e perché gli investimenti avrebbero portato ricchezza e lavoro. Anche qua le aspettative non hanno avuto riscontri ed è apparso chiaro, ad esempio, che la costruzione degli impianti sportivi toglieva risorse alla spesa sociale, mentre le nuove infrastrutture sono rimaste in parte ancora incomplete e non sono del numero di quelle previste.
E’ la sconfitta di un progetto, amplificata dal disastro sportivo.