Sorpresa! Tappa per velocisti funestata dalla pioggia e dal vento. Solita fuga che inizia appena viene dato il via. Stavolta scappano in quattro e sanno la loro è una fuga kamikaze, il tempo di incamerare qualche traguardo volante, un paio di modesti gran premi della montagna di quarta categoria e soprattutto uno di loro guadagnerà l’onore di indossare il numero rosso sulla maglia il giorno dopo, in quanto “corridore più combattivo”. L’onore se lo piglia lo spagnolo Luis Angel Mate Mardones da Marbella, trent’anni suonati il 23 marzo, vecchia conoscenza del ciclismo italiano perché ha militato nella Serramenti Pvc Diquigiovanni e poi nell’Androni giocattoli prima di approdare nella francese Cofidis (un bilancio rispettabile di 9,5 milioni di Euro l’anno), una stagione di piazzamenti (tanti secondi posti) ma nessuna vittoria.

Il tenace Maté resiste sino a 11,6 chilometri dall’arrivo. Il gruppo cannibale lo ingoia prima di uscire da Bourgogne (che nome provocatorio nella terra dello champagne…): la sua fuga è durata 183 chilometri. Per gli amanti delle statistiche – rubo i dati al meraviglioso programma ufficiale di questo Tour 2014, che è il centounesimo – la fuga solitaria più lunga nella storia della Grande Boucle è quella di Albert Bourlon (pronuncia: burlon…). Nel 1947, nel primo Tour cioè del secondo dopoguerra, durante la Carcassonne-Luchon si trovò in testa per 253 chilometri, toccando un vantaggio di sedici minuti e mezzo. Curiosamente la stessa tappa viene riproposta in questo Tour martedì 22 luglio, ma con un percorso assai più breve, 237,5 chilometri, la più lunga di quest’anno. Bourlon vinse quella tappa, René Vietto era in maglia gialla, la conservò sino a tre tappe dalla fine, quando gliela strappò l’allora italiano Pierre Brambilla che sarà naturalizzato francese due anni dopo (era nato in Svizzera).

Nell’ultima tappa di quel Tour incappò in una brutta giornata, terminando 34esimo. Fu Jean Robic detto “testa di vetro” a conquistare la corsa. Brambilla salì lo stesso sul podio, terzo, facendo sua la classifica degli scalatori. Ma torniamo ad oggi, e alla sorpresa. Già. Tappa per velocisti. Gruppo che affronta gli ultimi dieci chilometri in tutta bagarre. La Giant-Shimano di Marcel Kittel, per tutta la corsa sempre in cima al plotone, a far l’andatura assieme all’Astana di Vincenzo Nibali e alla Tinkoff-Saxo di Alberto Contador, pareva ripetere il copione delle tre volate vincenti del tedescone Kittel. Però qualcosa non quadrava: dov’era Kittel? Non stava nella pancia del plotone, arrancava dietro. Il gruppo, peraltro, falcidiato dal vento e dalle cadute, si era spezzato in tre tronconi. Kittel se ne stava lontano dai suoi. Ho visto persino il cinese Ji Cheng pedalare in cima al gruppo, e guardarsi dietro inutilmente, perché Kittel latitava.

Fatto sta che i più attivi erano i “pesci pilota” dei treni più importanti: quello della Katusha, agli ordini di Luca Paolini, che sgobbava per portare al momento giusto Alexander Kristoff, lo sprinter della russa Katusha. La poderosa Omega Pharma-Quick Step con Alessandro Petacchi, Matteo Trentin e il bravissimo polacco Michal Kwiatkowski (quarto in classifica a 50 secondi da Nibali) a scarrozzare Mark Renshaw, l’australiano che ha sul gobbone la pesante eredità di Mark Cavendish. E ancora, la Trek Factory Racing che cercava spazio per il poulain Danny Van Poppel, il più giovane in corsa (farà 21 anni il 26 luglio). Nel guazzabuglio degli ultimi due chilometri si mischiano con furia persino gli uomini in verde della Movistar di Alejandro Valverde. C’è il poderoso André Greipel, altro tedescone – con la maglia di campione nazionale – che per ora ha deluso negli sprint ma è considerato forte come Kittel.

La volata è servita: il rettilineo finale di Reims, che è stata 8 volte tappa di partenza e 9 d’arrivo (l’ultima volta nel 2010: vinse Petacchi) misura 1120 metri. Una schioppettata che ingolosisce il polacco Kwiatkowski (indossa la maglia bianca del migliore dei giovani, in realtà è solo secondo dietro Peter Sagan che è il numero uno della più prestigiosa classifica a punti). Michal anticipa tutti. Spara un allungo che spiazza i treni dei velocisti. La mossa non ha senso. Però provoca confusione. Kwiatowski è ripreso a trecento metri. A duecentocinquanta metri Greipel esplode tutta la potenza dei suoi ragguardevoli polpacci. Le cosce sembrano quasi sul punto di scoppiare. La bici traballa, pensi che da un momento all’altro si spacchi in mille pezzi.

Greipel sovrasta gli avversari: Kristoff è ancora secondo, battuto di una bici. Terzo Dumoulin. Quarto Renshaw: dimostrazione che dovrebbero lasciare a Trentin o a Petacchi il testimone di Cavendish. Quinto, Sagan, che conquista altri punticini preziosi. Questa la cronaca, spero soddisfi coloro che vorrebbero la fotocopia scritta delle riprese tv. Certe volte bisognerebbe semplificare. Per esempio così. Oggi quarta volata del Tour. Kittel non la disputa. Vince il rivale Greipel. Comunque la si metta, lo sprint di questo Tour de France è tedesco. La maglia gialla è italiana. Il primato della classifica a punti e quella dei giovani è slovacca. Ma la corsa, quella sì che resta francese. Tanto che il presidente François Hollande è salito sull’auto di Christian Prudhomme, il direttore del Tour, alla Grotte du Dragon, laddove c’è il triste Chemin des Dames, il cammino della morte delle trincee della Grande Guerra. Dopo il via da Ypres e la magnifica tappa del pavé che ha consacrato l’indole d’attaccante del messinese Nibali (dovreste leggervi i quotidiani francesi oggi!), il Tour oggi, e domani e sino a domenica segue le “routes de l’enfer”, le strade dell’Inferno.

Al via di Arras è stato ricordato il lussemburghese François Faber (conquistò il Tour del 1909 e 19 tappe), ucciso da uno shrnapel il 9 maggio del 1915 mentre tentava di soccorrere un compagno della Legione Straniera. “Il Gigante di Colombes” aveva 28 anni. Le statistiche della morte ricordano che furono 428 i campioni francesi morti nel conflitto, di cui ben 78 ciclisti. Di essi, 48 erano corridori che avevano partecipato ai Tour dal 1903 a quello del 1914. Mi ha colpito una foto in particolare, di quelle che in questi giorni vengono diffuse, l’avevano scattata il 28 giugno del 1914 giusto prima del Grand Départ, a Saint-Cloud (Hauts de Seine). Sulla sinistra, coi baffi, si riconosce Faber. In centro, Lucien Petit-Breton, che morirà a Troyes il 20 dicembre 1917. Poche ore dopo questo scatto fotografico, a Sarajevo, l’arciduca Francesco-Ferdinando d’Austria sarà assassinato. I tornanti della grande della piccola storia s’intrecciano tragicamente. Dei 145 partecipanti al Tour del 1914, il dodicesimo, 15 moriranno in guerra. La carovana pubblicitaria del Tour, oggi, invece di distribuire i gadgets ,ha lanciato piccoli fiorellini, i “bleuet”, i fiordalisi simbolo della classe 1915, “quella che non ha mai avuto vent’anni”. Dall’inizio di stagione la squadra francese FDJ.fr (la Française des Jeux, 11 milioni di Euro di bilancio annuale) ha messo il fiordaliso sulle proprie maglie. Sono piccole ma fondamentali lezioni di sport e di civiltà.

P.s. Segnalo le parole di Bernard Hinault, uno che se ne intende visto che di Tour ne ha vinti cinque, a proposito di Froome e di Nibali: “E’ uso dire che il Tour si può perdere ogni giorno. Chris Froome l’ha appreso a sue spese. Dall’inizio, era bizzarramente piazzato un po’ lontano, esponendosi sfortunatamente alle cadute. La concatenazione (delle cadute, ndr.) gli è stata fatale. Davanti, Nibali ha sopreso tutti, ed io per primo. Non l’immaginavo capace di realizzare una tale prestazione sul pavé che diceva di non conoscere. Ci è stato a suo agio, sicuro, impressionante nel cogliere un bel terzo posto in una tappa che era una vera corsa d’uomini…”.

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