Da qualche tempo, non si fa che parlare in rete di “Io sto con la sposa”, un film-documentario realizzato da un gruppo di attivisti per i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo; si racconta la storia di Tasnim, una sposa siriana a Milano che insieme al corteo nuziale, parte alla volta della Svezia attraversando in 20 ore 3000 km e 5 paesi. Lo spunto è interessante ma cosa mai ci sarà stato di tanto originale da solleticare l’interesse di blogger, stampa nazionale e addirittura media stranieri? Per cominciare, Tasnim non si è sposata a Milano e non è siriana, il suo non è un corte nuziale ma una messinscena organizzata da un gruppo di attivisti, per consentire ad alcuni profughi siriani (profughi e siriani per davvero) di superare le frontiere dell’Europa senza frontiere, e permettere loro di raggiungere la Svezia. E di farlo con un escamotage da “baffi posticci e parrucca” degno della miglior tradizione hollywoodiana; d’altronde chi fermerebbe mai un corteo nunziale? Chi chiederebbe mai i documenti ad una sposa?
Sinossi geniale, storia di elevato valore sociale e forte denuncia dello stato d’Europa che piange le morti dei migranti ma non fa nulla per evitarle. Ma soprattutto vicenda accaduta veramente: i protagonisti non sono attori e la “sinossi” è stata scritta fuori da un centro di identificazione ed espulsione di Milano, mentre il gruppo di richiedenti asilo senza documenti, cercava (veramente) una soluzione per raggiungere il nord Europa. Io sto con la sposa è la cronaca di un’azione di disobbedienza civile 2.0 dove i canoni del gesto “radicale” tradizionale -violare la legge ingiusta e autodenunciarsi- subiscono, specchio dei tempi, un riadattamento alla luce delle tecnologie e della società del 2014: ora la legge da violare non è un reperto archeologico del codice Rocco ma sono i trabocchetti di regolamenti e direttive di un ente sovranazionale; l’autodenuncia non avviene con i metodi clamorosi e diretti di una volta ma è veicolata con l’impiego di strumenti creativi (il film indipendente e i linguaggi del formato audiovisivo) e multimediali, con ricorso a crowdfunding ed alla mobilitazione online per dare all’iniziativa una base, quella che una volta veniva garantita dal partito (Radicale).
Come Marco Pannella, Adele Faccio e la Emma Bonino dei Radicali negli anni ’70, anche gli autori di “Io sto con la sposa” rischiano il carcere e esattamente come allora, la ragione alla base del gesto è denunciare come spesso, troppo spesso, le leggi finiscano per essere la causa stessa dei problemi. Per milioni di uomini e donne in fuga dalla guerra, la crudele punizione non è solo il disastro dei conflitti o i rischi dei viaggi della speranza ma anche l’ondivago atteggiamento europeo sul tema immigrazione, stretto tra le proposte cavernicole di partiti come la Lega e l’inerzia dei mastodonti burocratici al comando del continente. Gabriele del Grande, uno degli autori, non è un politico, un giurista o un commentatore; non propone soluzioni cercando una risposta agli ammuffiti slogan “non possiamo accogliere tutti”, “pensiamo prima a noi poi agli altri”, “fermiamo l’invasione”, ma offre riflessioni basate sul buon senso. E si, può essere buon senso di fronte ad un disastro umanitario anche organizzare un finto matrimonio, attraversare un continente, violando quindi le regole di cinque ordinamenti e contribuire cosi a salvare la vita ad un gruppo, per quanto piccolo, di persone.
Ricordando a tutti che il Mediterraneo è diventata la fosse comune di una delle più strazianti tragedie del dopoguerra. “Io sto con la sposa” ha anche un’altra particolarità: il film non lo ha ancora visto nessuno. Il crowdfunding è stato lanciato un paio di mesi fa per coprire le spese di produzione e ad una settimana di distanza dalla chiusura della campagna ha già ampiamente superato il traguardo dei 75mila euro necessari per il montaggio, grazie anche al sostegno di 2300 ‘soci ‘: una prova di fiducia ed affetto che ha ripagato la passione ed il coraggio dei 23 che hanno pensato e realizzato il film. Il successo clamoroso di questo esperimento, in fondo, è la prova che le grida sguaiate e rabbiose contro chi fugge da guerre e miseria, sono solo il pensiero marginale, disarticolato e confuso di minoranze un po’ paranoiche e rumorose che rappresentano niente altro, per fortuna, che una minima parte della popolazione italiana.