Ci vuole poco per imparare a riconoscere i rumori della guerra. Il missile che cade seguito dall’esplosione, la batteria di cannoni che spara a pochi chilometri dalla costa e le enormi combustioni dei razzi in partenza da rampe di lancio improvvisate. Per le strade di Gaza non si sente altro. Non ci sono auto, se non quelle delle televisioni rese riconoscibili dalle scritte ‘TV’ e ‘Press’. Scritte così grandi che possano essere viste dall’esercito israeliano dalle loro postazioni a miglia di distanza. I negozi sono chiusi e i gazawi restano nascosti dentro casa, le uniche attività aperte sono quelle vicino agli ospedali. È una guerra contro un nemico invisibile, che colpisce dal cielo e dal mare.
A Gaza non si vede un militare israeliano dal gennaio 2009, quando l’IDF (Forze di difesa israeliane) condusse l’operazione Piombo Fuso. Fu una strage. Battaglia strada per strada, casa per casa. La paura che questo possa accadere nuovamente la si legge negli occhi di tutti. Il governo israeliano ha dato mandato per la mobilitazione di 40mila riservisti che si aggiungono ai circa 150mila militari già in servizio. Nell’ultima guerra contro Hamas, nel novembre del 2012, Gerusalemme aveva mobilitato 60mila riservisti, mentre erano 75mila quelli richiamati nel 2008 per Piombo Fuso.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha schierato i carri armati al confine con la Striscia, Hamas ha risposto minacciando di colpire, con i micidiali razzi M302, l’aeroporto di Ben Gurion, l’accesso più importante ad Israele. L’escalation sembra senza fine. Secondo i dati diffusi dal portavoce dell’esercito israeliano nelle dodici ore dalla mezzanotte a mezzogiorno di oggi Brigate Ezzedin al Qassam, braccio armato di Hamas ha lanciato 44 razzi, 11 dei quali sono stati intercettati e abbattuti da Iron Dome, mentre l’IDF ha colpito 159 obiettivi nella Striscia.
Dall’inizio dell’operazione Margine Protettivo, lanciata quattro giorni fa, sono almeno 100 i morti, tutti palestinesi, e oltre 700 i feriti. “Siamo stufi di tutto questo –spiega Ala mentre fuma compulsivamente una sigaretta dopo l’altra – viviamo sotto una costante minaccia. Non posso scappare, né io, né la mia famiglia. I confini sono chiusi, non ci resta altro che restare qui e pregare”. Ala guida un grosso camion cisterna, porta l’acqua alle case dei gazawi più ricchi. “L’acqua corrente è salata, non è buona per cucinare, né per lavarsi. Riempio dei serbatoi nelle cantine o sui tetti delle case, non è acqua potabile, ma buona per l’uso domestico”.
In pochi giorni il carburante che fa girare gli impianti di depurazione dell’acqua finirà. Con i valici di confine chiusi non ci sarà modo farne arrivare altro. Intanto inizieranno a scarseggiare anche gli altri beni di prima necessità. La crisi umanitaria è alle porte, come i carri armati israeliani, in ogni caso a pagare il prezzo più caro saranno sempre i civili.