Al punto 10 dei 12 sulla riforma della giustizia si parla di “intercettazioni: diritto all’informazione e tutela della privacy”. Fortunatamente non vi è traccia delle demenziali riforme di B. che voleva permettere le intercettazioni solo “quando esistono prove di colpevolezza”, cioè quando non servivano più; e dunque sembra che acchiappare i delinquenti sarà ancora consentito. Qui ci si preoccupa della conoscibilità dei contenuti delle intercettazioni.
Quello che Renzi non ha capito è che si tratta di una riforma impossibile; sempre che si voglia rispettare la Costituzione. Le intercettazioni servono per acquisire le prove della sussistenza del reato e della colpevolezza o dell’innocenza dell’indagato. Nel caso che il pm lo ritenga colpevole e pensi che sia opportuno impedirgli di scappare, inquinare le prove o commettere altri reati, deve chiedere al Gip di metterlo in prigione; e dunque deve trasmettergli la trascrizione delle intercettazioni. Se il Gip concorda con il pm, emette un’ordinanza con cui dispone la carcerazione preventiva (adesso si chiama applicazione della misura cautelare della detenzione in casa circondariale; ma sempre la stessa cosa è).
Questa decisione deve essere motivata: l’indagato ha il diritto di sapere perché lo vogliono mettere in prigione; sia per difendersi negando o precisando circostanze; sia per ricorrere al Tribunale della Libertà o in Cassazione. Dunque il Gip deve trascrivere le intercettazioni nel suo provvedimento. E qui sta il problema: perché (art. 328 codice di procedura) a questo punto le intercettazioni non sono più segrete e, se un giornalista ne viene a conoscenza (in genere perché gliene parla l’avvocato; o anche perché poliziotti, segretari e giudici glielo raccontano, che non è una bella cosa ma ogni tanto succede) le pubblica. Centinaia di giuristi (e migliaia di gente che di diritto non capisce niente) si sono affannati per 20 anni (da quando arrivò B.) a cercare una soluzione a questo problema: come si fa a impedire la pubblicazione delle intercettazioni quando queste sono pubbliche? Prima che lo diventino è semplice: la cosa costituisce un reato, il giornalista e le sue fonti – se si scoprono – sono condannati. Ma dopo?
Ipotesi A: si vieta la pubblicazione delle intercettazioni. Non si può, c’è l’art. 21 della Costituzione, libertà di stampa.
Ipotesi B: si impedisce che indagato e avvocato le possano conoscere, il Gip ne parlerà “di striscio”, dicendo e non dicendo, ne farà un riassunto più o meno articolato. Non si può, c’è l’art. 13 della Costituzione, libertà personale inviolabile se non con provvedimento giudiziario “motivato”. Un riassunto di una prova non è una prova: è l’interpretazione di quella prova data dal giudice. E come si fa a contestarla se non si conosce la prova in originale? Un provvedimento del genere non è “motivato”; se il giudice lo adotta perché è pigro o incapace, si può impugnare in Cassazione; se è previsto dalla legge, è incostituzionale.
Ipotesi C: si fa un’udienza in camera di consiglio, non pubblica: Gip, pm e avvocato ascoltano le intercettazioni (magari servono mesi ma non importa, anno più anno meno…) e poi il Gip decide quali trascrivere; le altre si distruggono. Non va bene: che libertà di stampa è quella in cui è il giudice a decidere cosa si può pubblicare e cosa no? Saranno i giudici a dirigere gli organi di informazione? Nuova violazione dell’art. 21.
Insomma, Renzi non capisce che, essendo lecito informare i cittadini di arresti, perizie, interrogatori e ogni altra cosa che riguarda i processi penali (ricordiamoci le 157 puntate di Porta a Porta sul delitto di Cogne), diventa irragionevole vietare di informarli sulle intercettazioni.
Ma almeno non si pubblichino quelle che non hanno rilevanza penale. Potrebbe intendere questo Renzi quando parla di conciliare informazione e privacy. Solo che, prima di tutto, si ricade nella situazione precedente: non tocca al giudice stabilire quello che si può pubblicare. E poi: chi lo ha detto che le informazioni che non hanno rilevanza penale non si devono pubblicare? Se una fotografia che mostra un parlamentare che si fa una riga di coca è pubblicabile (e certamente lo è); perché non dovrebbe essere pubblicabile un’intercettazione dello stesso parlamentare che chiede al suo pusher di portargli la stessa riga di coca (il che, per il parlamentare, non costituisce reato e non ha dunque rilevanza penale)? Il diritto all’informazione e il dovere di darla sono l’essenza della democrazia: i cittadini devono sapere per poter decidere. Può stargli bene oppure no che un parlamentare si faccia di coca; e lo voteranno oppure no anche in base a questa circostanza. Ma, se gliela si nasconde, li si priva del diritto di scegliere.
La soluzione del problema non sta a monte ma a valle. I giudici (italiani ed europei) hanno elaborato in migliaia di sentenze i principi che stabiliscono quali sono i limiti di una corretta informazione: verità, pertinenza (utilità dell’informazione), continenza (modalità di espressione). Se non sono rispettati, ci saranno condanne penali e civili. E non è colpa di giornalisti o cittadini se il sistema giudiziario italiano garantisce l’impunità a questi e ad altri ben più gravi reati.
Renzi deve capire che i diritti costituzionali non sono comprimibili; quello che deve essere impedito è l’abuso. Vero, a questo punto il danno è fatto; ma questo vale per tutti i reati, a cominciare dall’omicidio. Diventa insopportabile solo quando si tratta di intercettazioni?
il Fatto Quotidiano, 11 Luglio 2014