Vincenzo Micchia è un referente dei boss che può vantare buoni contatti con narcos internazionali e milanesi. Dall'indagine del Ros emerge uno spaccato del mercato della droga nel capoluogo lombardo dove regnano criminali del calibro di Crisafulli e Fidanzati
La piazza dello spaccio milanese, che ha il suo cuore nel quartiere settentrionale di Quarto Oggiaro e nell’hinterland, è un formicaio di boss, narcos e broker. Sempre in cerca dei canali giusti per accaparrarsi la cocaina, sempre in cerca di nuove alleanze da stringere, attenti a non ostacolare l’uno il business degli altri. Perché il mercato è florido, e gli affari vanno bene a tutti. Il fermo immagine è immortalato dall’operazione del Ros dei carabinieri, coordinata dal pm Marcello Musso, che ha portato all’arresto di 26 persone, 5 ai domiciliari: l’alta borghesia della malavita milanese.
Non manca nessun personaggio in questa Spoon River del crimine tratteggiata dagli investigatori, che per anni hanno pedinato e intercettato gli attori di questa antologia nera. Un’ordinanza di circa duemila pagine racconta il quarto atto dell’indagine Pavone sul narcotraffico meneghino. Dove i protagonisti non sono solo uomini, ma anche donne. Come Miriam Favorido. Una figura, la sua, rispettata e temuta nell’ambiente. Tanto da ricevere la benedizione per tirare su una propria batteria di spacciatori direttamente da alcuni esponenti della ‘ndrangheta. E’ lei che ha il compito di proiettare la rete di spaccio di cocaina fuori da Milano. Un compito in cui Miriam riesce, visto che la sua droga arriva a inondare le piazze di Novedrate e Bovisio Masciago. E il suo prestigio agli occhi di vecchi boss cresce di giorno in giorno. Ad aiutarla nel business c’è Claudio Bianco.
Un pesce piccolo in confronto ai broker della droga Francesco Orazio Desiderato e Vincenzo Micchia. Secondo i carabinieri del Ros di Milano è quest’ultimo il vero ambasciatore dei boss. Reperisce la cocaina e l’hashish, fissa il prezzo, organizza la riscossione e mantiene i rapporti con i clienti. E’ scaltro Micchia, tanto da prolungare la catena dello spaccio dall’hinterland milanese al bresciano, e più in là, fino a Torino. Grazie alla sua rete di referenti sparsi per mezzo mondo: dall’Olanda, all’America Latina. Organizzare un viaggio per trasportare chili di coca, per lui è come allacciare le stringhe delle scarpe: “Te li vuoi fare un paio di viaggi? – propone a un cavallino – Ti fai un documento falso… prendi mille euro ogni pacco: due tre pacchi alla volta, una volta alla settimana, ogni dieci giorni. Prendi due tremila euro alla volta, i tuoi soldi subito: ci sono già le macchine col doppiofondo”. Tanta sicurezza gli deriva dai rapporti che vanta con narcos sudamericani e trafficanti slavi. Al telefono con un’altra persona, si lamenta del prezzo eccessivo di una partita di coca, ma lo tranquillizza: “L’ho trovata, è ancora un po’ cara. Io per lo meno ce l’ho a credito e ce ne ho quanta ne voglio”.
A Micchia arriva anche Francesco Castriotta, oggi latitante, ma che nel 2008 è un reietto sul quale pende l’espulsione dal giro di Quarto Oggiaro emessa dal clan Crisafulli, padroni della piazza di spaccio che a Castriotta e ai suoi preferiscono un’altra storica famiglia. Quella dei Tatone, che verrà sterminata – secondo la squadra mobile guidata da Alessandro Giuliano – a fine ottobre 2013 proprio da un ex soldato dei Crisafulli: Antonino Benfante, detto Nino Palermo, che per coronare il sogno di avere un proprio esercito di pusher, nel giro di tre giorni, lascia sui marciapiedi di Quarto i cadaveri del capofamiglia Pasquale e del fratello Emanuele (oltre a un amico di quest’ultimo, Paolo Simone, ucciso perché diventato un testimone). Mentre l’altro fratello, Mario, è stato arrestato nell’operazione di oggi del Ros. Uno scacchiere retto da equilibri fragili, quello di Quarto. Dove agiscono tante nobili comparse, e un solo padrone: Biagio Crisafulli, alias Dentino, che insieme al fratello Alessandro, dal carcere, conosce vita, morte e miracoli del quartiere. Un controllo capillare, reso possibile dagli occhi e dalle orecchie delle mogli dei due boss: Lucia Friolo e Daniela D’Orsi. Con gli uomini dietro le sbarre, sono loro le vere signore della coca, a cui tutti gli spacciatori e gli acquirenti versano soldi e portano rispetto.
Che l’operazione del Raggruppamento operativo speciale dell’Arma abbia puntato alle classi alte del narcotraffico lo si capisce dai nomi finiti nell’inchiesta. E a Milano pochi possono vantare il prestigio dei Fidanzati, clan del mandamento palermitano dell’Arenella-Acquasanta, da sempre referenti della mafia nel capoluogo lombardo. Dopo la morte del capofamiglia Gaetano, negli anni Settanta e Ottanta esponente del gotha di Cosa Nostra palermitana, a reggere l’eredità della famiglia era rimasto solo il figlio Guglielmo Fidanzati, detto Guglio, morto a gennaio 2014. Anche lui coltiva un proprio canale. Rappresentato da Ruggero Dicuonzo, originario di Barletta che progetta di far arrivare la cocaina fino in Puglia e che stringe buoni rapporti con il broker Vincenzo Micchia.
Sono questi i principali personaggi del romanzo nero della droga a Milano. Tante piccole organizzazioni che mantenevano il monopolio del mercato cercando di non pestarsi i piedi, concentrate solo a fare soldi, parecchi soldi. Un’idra, che il Ros ha decapitato delle sue cento teste.