Lasciata Epernay, terra di grandi champagne, costeggiati ancora i tristissimi “chemins de l’enfer” – le linee del fronte della Grande Guerra -, passati davanti all’angosciante Ossario di Douamont, presso Verdun che fu teatro delle più spaventose battaglie tra francesi e tedeschi (ospita 130mila resti di soldati non identificati), i ciclisti del Tour de France affrontano una lunga, insidiosa trasferta di 234 chilometri e mezzo. Anche oggi la malasorte è in agguato. Un altro uomo di classifica, l’americano Jejej Van Garderen, quando mancano diciassette chilometri al traguardo, infila la ruota contro la bici di uno dei suoi compagni. Ruzzola, si sbuccia il gomito sinistro, un gregario gli allunga la sua bici. Ma il gruppo è ormai irraggiungibile. Perderà un minuto e 3 secondi.

Nel frattempo, dopo l’ennesima fuga a perdere di quattro corridori che restano in due sino a una dozzina di chilometri dall’arrivo per essere fagocitati dal gruppo, restano in testa alla corsa una trentina di corridori, sopravvissuti a cadute e a collinette che segano le gambe e sparpagliano il plotone. Attivissimi gli spagnoli Alberto Contador e Alejandro Valverde che sollecitano l’andatura: punzecchiature per vedere come reagisce Vincenzo Nibali. La maglia gialla resta sempre alla loro ruota, talvolta è lui che piglia l’iniziativa, per esempio in discesa, per evitare rischi. Si rivedono davanti persino gli uomini Sky, vedovi di Christopher Froome. Attivissimo Richie Porte, l’australiano nato in Tasmania che ora è il capitano della Sky e che lo scorso anno fu determinante nell’aiutare Froome a conquistare la vittoria finale.

Quando i migliori affrontano il rettilineo finale di Nancy, la patria della quiche lorraine, dopo la Cote de Boufflers, una salitella che però ha fatto ulteriore selezione (1300 metri di lunghezza all’8 e mezzo per cento), sono rimasti in una trentina. E’ bagarre pura. Tutti provano il colpaccio. Il più determinato è lo slovacco Peter Sagan. Un allungo poderoso. Gli si incolla il belga Greg Van Avermaet. Guadagnano terreno. Cento, duecento metri. Poi, dietro il gruppo reagisce. E davanti, Van Avermaet fa i conti: Sagan mi straccia. Non vale la pena. I velocisti tireranno alla morte pur di riacciuffarci. Infatti, prima Porte, poi il polacco Michal Kwiatkowski conducono un furioso inseguimento. Sagan è ripreso alla penultima curva. Ha sprecato energie preziose. Però non s’arrende. Sa che non ci sono né Marcel KittelAndré Greipel, i dominatori degli sprint. Nonostante lo sforzo dell’allungo, si sente ancora il più forte in volata. Rifiata.

Intanto, cerca la linea migliore. Sulla destra della carreggiata, vicina ai cartelloni pubblicitari che fungono da transenne. Lo affianca a sinistra il nostro Matteo Trentin. Fino a ieri, il compito di Trentin era quello di pilotare al rush finale l’australiano Mark Renshaw: che ha tuttavia sempre deluso le attese della squadra, l’Omega Pharma Quick Step orfana di Mark Cavendish. Oggi, Renshaw e Alessandro Petacchi hanno lavorato per Matteo. Sagan e Trentin piombano contemporaneamente sulla linea del traguardo. Trentin crede d’aver perso, si complimenta con Sagan. Ma è un arrivo al fotofinish. E il responso è capovolto. Trentin ha battuto Sagan per tre centimetri, lo spessore di un tubolare.

L’anno scorso aveva trionfato a Lione. Una conferma significativa. E’ giovane, compirà 25 anni il 2 agosto. E’ simpatico, spiritoso: “E’ una vittoria importante non soltanto per me ma per tutta la squadra, con tutta la sfortuna che ci ha colpito: ne abbiamo passatre di tutti i colori, un elenco come quello della spesa…”. Cadute, abbandoni, ferite, guasti meccanici… Quanto a Sagan, sette tappe e mai un piazzamento sotto il quinto posto. Un ruolino di marcia incredibile. Ma anche mai una vittoria. Ci arriva ad un palmo, il primo posto gli sfugge sempre e questo accanimento della sorte rischia di trasformarsi in ossessione. Stavolta, a Nancy è stato lui a perdere. Colpa sua. Che gli serviva quell’azione scriteriata in fin di tappa? Ormai il gruppo era ristretto, e mancavano i migliori sprinter. Con la sua progressione, poteva far polpette degli avversari. Invece ha presunto troppo, tentando l’allungo in un finale già abbastanza convulso (l’americano Talanski è caduto rocambolescamente a centocinquanta metri dal traguardo, per fortuna non ha coinvolto nessuno).

Domani l’attende una tappa nervosa, non lunga – appena 161 chilometri da Tomblaine a Gérardmer. Ma ci sono i primi assaggi dei Vosgi, tre salite negli ultimi ventotto chilometri, con due gran premi della montagna di seconda categoria, mentre il traguardo è classificato terza categoria. Tappa, dunque, da agguati e congiure. Adatta a Valverde e Contador, e pure a Nibali: “Corro giorno per giorno”, dice lui, “Parigi è ancora molto lontana. La maglia gialla è certamente un peso, ma è anche uno stimolo”. Il Tour 2014, insomma, ricomincia questo sabato: la prima settimana di corsa ha già tuttavia morti e feriti, a cominciare da Cavendish e Froome. Ci sono le “mezze montagne” che tanto piacciono agli organizzatori del Tour. Sono salite-verità. Soprattutto lunedì, da Mulhouse a la Planche de Belles Filles, sette gran premi della montagna e un finale maligno, con un’arrampicata di quasi sei chilometri all‘8,5% di pendenza media. Contador, Roche e Valverde non staranno a guardare.

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