Nel processo di nascita della Corte africana di giustizia e diritti umani è stata inserita una clausola che mette al riparo i vertici dei paesi del continente nero da possibili azioni giudiziarie nei loro confronti. Proteste di Amnesty International
Immunità per legge a tutti i capi di stato in carica nel continente africano. Un fatto clamoroso, che finora non ha suscitato alcuna reazione. E’ accaduto la settimana scorsa, ma la notizia ha iniziato a circolare solo alcune ore fa (segnalata in Italia dall’africanista Raffaele Masto). Ecco i fatti. Riunione dell’Unione Africana, in Guinea Equatoriale: si sta cercando di dare avvio alla nuova African Court of justice and human rights, che nelle intenzioni dei promotori sarà una via di mezzo tra l’attuale Corte africana per i diritti umani e dei popoli, attiva dal 2004, e la Corte africana di giustizia, da tanto auspicata e mai realmente nata. L’organismo nascente avrà ampio mandato per indagare su violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e gravi infrazioni del diritto internazionale.
Un organismo che nelle intenzioni africane nasce in netta contrapposizione alla Corte penale internazionale, da tempo al centro di violente polemiche nel continente, che accusa i giudici dell’Aja di parzialità e addirittura di razzismo latente, poiché tutte le azioni intraprese finora hanno riguardato violazioni avvenute in Africa. Una vecchia polemica, che si vuole risolvere con la creazione di una corte panafricana. Ma – e qui viene il punto – nella bozza di protocollo concordata la settimana scorsa i 53 capi di stato riuniti hanno pensato bene di inserire una clausola in base alla quale non possono essere indagati non solo i capi di stato in carica, ma nemmeno “altri alti funzionari di stato nello svolgimento delle loro funzioni”. Una formula che può includere un po’ chiunque, a seconda delle necessità.
Un evidente scudo protettivo del potere costituito, che ha trovato un solo oppositore, il Botswana, l’unico voto contrario. Attualmente l’Aja sta indagando su quattro personaggi di prim’ordine: il presidente sudanese in carica, Omar al-Bashir (accusato di genocidio), il presidente keniota Uhuru Kenyatta e il suo vice William Ruto, entrambi in carica (implicati nei disordini postelettorali che nel 2007 fecero oltre mille morti) e l’ex presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo (ritenuto responsabile delle violenze commesse dalle forze armate tra dicembre 2010 e aprile 2011). In base a questa clausola, nella nuova corte nessuno dei quattro potrebbe essere messo sotto accusa. E di certo anche a molti altri leaders farà comodo questa clausola, che li mette al riparo da possibili accuse, ma che rischia anche di incentivare comportamenti criminali.
“Proprio quando il continente africano sta lottando contro l’impunità di violazioni e abusi dei diritti umani – ha dichiarato Netsanet Belay, il direttore di Amnesty International per l’Africa – è impossibile giustificare questa decisione che mina l’integrità della Corte africana di giustizia e diritti umani ancora prima che diventi operativa”. In reazione, quarantadue tra associazioni e gruppi africani e internazionali hanno scritto una lettara aperta in cui stigmatizzano l’accaduto e denunciano che l’emendamento è contrario non solo alle leggi nazionali ed internazionali, ma pure alla stessa costituzione che l’Unione Africana si è data.