Dopo settimane di discussioni e una gara aperta a Whirpool, Electrolux e alla cinese Sichuan, i Merloni hanno venduto.
Un’altra grande famiglia industriale abbandona, una metafora del nostro declino economico. Si aspetta la ripresa, è invocata la flessibilità a livello europeo, i banchieri tedeschi sono i cattivi, si attende il miracolo di Matteo Renzi. Intanto la crisi continua. Sarà mica che molto dipende dalla classe imprenditoriale? Questa invece di investire sul futuro vende le imprese e la propria storia (a buon prezzo) e si mette a fare l’immobiliarista e il finanziere.
Probabilmente con le nuove risorse la cassaforte di famiglia, la Fineldo, farà più utili del business dei white goods a marginalità decrescente. Ma per il paese non è bene. Vittorio Merloni è stato un grande imprenditore, uno dei pochi che potesse stare alla pari di Gianni Agnelli e di Leopoldo Pirelli. Si separò dai fratelli perché credeva nell’acquisto proprio dell’Indesit, un’azienda più grande dell’Ariston. Fece affari con i sovietici e comprò la Hot Point per entrare nel mercato inglese. Adesso è gravemente malato e un figlio è stato nominato suo tutore. Dal momento della sua uscita di scena le cronache hanno raccontato dei dissensi tra i suoi quattro figli sul futuro dell’azienda.
Si è optato per la strada della cessione per salvare l’occupazione negli stabilimenti italiani Indesit? Argomento poco convincente. Infatti la sensibilità decisionale di una multinazionale si allontana dai territori e recentemente abbiamo visto gli effetti delle strategie globali sulla fabbrica Electrolux di Porcia.
Ricordiamo che Aristide Merloni, il fondatore della dinastia, fece un patto con Enrico Mattei per dare lavoro ai marchigiani, investendo in uno stabilimento di bombole. Suo figlio Vittorio non avrebbe venduto, magari avrebbe trovato una strada di partnership con la Whirpool o un management diverso per comprarsela! Spesso il vecchio imprenditore è meglio dei giovani eredi.