Non so se il tutto sia frutto di una strategia studiata a tavolino. Quello che è sicuro è che quanto meno a livello individuale, funziona. Tant’è che in Giappone non esiste l’equivalente di Equitalia. Pagare le tasse in Giappone, non solo è un dovere che la maggior parte dei cittadini dà per scontato. Spesso è anche un piacere. Sia perché – con le dovute eccezioni e manchevolezze, ahimè in aumento – i servizi che lo Stato, le prefetture (equivalenti delle nostre Regioni) i comuni e i quartieri offrono in cambio del prelievo fiscale sono numerosi, efficaci e sopratutto puntuali. Sia perché il rapporto stato-cittadino, che dal punto di vista istituzionale, politico e spesso anche giuridico è decisamente impari, dal punto di vista fiscale è invece basato sulla reciproca fiducia, sulla collaborazione, più che sul reciproco sospetto e vessazione. Non è la prima volta che mi dimentico, o che non riesco perché mi trovo all’estero, di presentare la mia denuncia dei redditi entro la scadenza. Che in Giappone coincide con la fine dell’anno “fiscale”, il 31 marzo.
Non avendo tuttavia granché da denunciare ed essendo il mio reddito abbastanza ridotto, mi sono sempre rassegnato a pagare eventuali e ragionevoli interessi di mora piuttosto che diventare matto a compilare i vari moduli o pagare un commercialista, cosa che peraltro in Giappone fanno solo i ricconi e le aziende. E gli altri? Gli altri vanno presso gli uffici locali delle imposte, prendono un numeretto e si siedono in attesa del loro turno. Io ho aspettato meno di dieci minuti. Arrivato allo sportello ho prima di tutto rassicurato il giovane impiegato – che mi guardava quasi terrorizzato – che parlavo giapponese e che quindi avremmo potuto comunicare senza problemi. Il tipo si è immediatamente rilassato e nel giro di pochi minuti ha chiamato un suo collega esperto in “stranieri” ed entrambi ci siamo appollaiati su due sgabelli, che i giapponesi chiamano comunque sedie.
Dopo le scuse e gli inchini di circostanza, rito nel quale in Giappone è sempre bene abbondare, gli ho spiegato il mio problema e gli ho chiesto se come era successo già un paio di anni fa, poteva aiutarmi a compilare il modulo, che “pesa” meno di un terzo del nostro “unico”. Il tipo, dopo aver espresso la sua ammirazione per l’Italia e la nostra cultura e perfino solidarietà per l’eliminazione ai Mondiali, ha preso in mano la documentazione e nel giro di 5 minuti, forse anche meno, mi ha presentato il modello completato. Nel farlo, sembrava quasi dispiaciuto: “Da come l’ho compilato, sembrerebbe che quest’anno dovrebbe pagare qualcosa di più dell’anno scorso – mi fa – ma se mi dà qualche minuto di più posso vedere di farle risparmiare qualcosa….vediamo….”. Io lo guardo estasiato: stiamo parlando di poche decine di migliaia di yen, qualche centinaio di euro, mica di milioni. Come cittadino italiano, mi va già bene così, visto che in Italia pagherei più del triplo. Qui, l’aliquota per i liberi professionisti è fissa:10%. Con un piccolo particolare. Che puoi scaricare tutte, ma proprio tutte, le spese.
“Vedo che continua a percepire i diritti d’autore per un libro – prosegue il mio angelo fiscale – per la produzione del quale ha già scaricato le spese due anni fa….ma non è che ha intenzione di aggiornarlo, non so, per una seconda edizione. Anche se poi non va in porto, se ha delle spese da detrarre, viaggi, sopralluoghi, spese di rappresentanza, le può mettere tranquillamente…”. “In effetti le avrei – azzardo – anche quest’anno sono tornato qualche volta a Fukushima, per aggiornarmi….ma non ho le ricevute, dovrei cercarle, non so”. “Ma no si figuri…i giustificativi non servono. Noi andiamo a occhio. Se le spese ci sembrano congrue, le passiamo. Altrimenti chiamiamo il contribuente e chiediamo spiegazioni. Ma alla fine troviamo sempre un accordo”.
Non voglio farvi soffrire ulteriormente. E’ finita che avanzo dei soldi dallo Stato giapponese: le trattenute che ho subito per collaborazioni locali erano superiori a quello che dovevo per il reddito principale, quello del mio stipendio italiano. Ovviamente qualcuno penserà: si vabbè, magari a te è andata così perché sei italiano, sei un giornalista, parli giapponese. Eccetera eccetera. Può darsi. Ma mentre di nefandezze varie, abusi e angherie in altri settori ho avuto spesso notizia e spesso ne ho anche parlato nei miei articoli, in tanti anni non mi è mai capitato di sentire proteste per il comportamento del fisco. Uscendo, ho notato un altro straniero. Filippino.
“Come è andata”, gli chiedo. “Nessun problema. Sono venuto a chiedere un’altra rateizzazione, quella che mi avevano già concesso non ce la faccio a rispettarla”. “E te l’hanno concessa?” chiedo. “No. Mi hanno detto che questo tipo di pratiche oramai si fanno online. Chiederò a mia moglie, che è giapponese, di farlo. Io non ci capisco nulla” Il solo pensiero non dico di un giapponese, anche di un cittadino tedesco o europeo che si presenti in un ufficio delle imposte italiano, per farsi aiutare nella compilazione della denuncia dei redditi, mi riempie di tristezza e senso di solidarietà.