Niente, ormai è più forte di me. Appena un politico di questi quarantenni vicino a Renzi (ma ovviamente lo faccio anche con un quarantenne anti-Renzi) alza la mano per candidarsi a qualcosa, mi fiondo a leggere il curriculum. Voglio sapere cosa ha fatto nella vita, che passioni professionali ne hanno animato l’esistenza, in quali settori primeggiava, tutto quello insomma che fa di lui una persona sulla quale puntare per una straordinaria poltrona istituzionale. Cerco, in buona sostanza, il merito, segno distintivo della nuova era Renzi.

Adesso che si è liberata la poltronissima di governatore della regione Emilia-Romagna dopo la condanna in appello di Errani, si cominciano a intravedere le prime (auto)candidature. Uno che è uscito allo scoperto è Matteo Richetti, classe 1974 (quarantenne spaccato), nato a Sassuolo ma modenese d’adozione, uno dalla parola sciolta, simpatico, anche un filo piacione, ma tagliato un po’ fuori dallo strettissimo cerchio magico renziano. Leggo da Repubblica Bologna: “Non sono abituato a rispondere ad ambizioni personali. Nel momento in cui me lo chiedesse un pezzo del partito, di amministratori e di persone che in questi anni hanno lavorato con me, è un’opzione che sono pronto a valutare”. Perfetto, Richetti si candida.

Ok allora, vediamo il curriculum (matteorichetti.it). L’età la sappiamo già, una bella famiglia con tre pargoletti. È un quarantenne, quindi diamogli una decina d’anni di lavoro, facciamo dai trenta. Sottolinea la sua matrice cattolica (è un segno comune nella grande famiglia renziana), racconta di aver guidato la Margherita dal 2003 al 2005 (ma esisteva ancora?, mi sono perso) e il 2005, racconta, è anche l’anno in cui viene eletto in consiglio regionale, “dove mi sono occupato di sanità, di riordino istituzionale, memoria e politiche giovanili”. 

A questo punto, mi sento molto Michele Apicella di “Ecce Bombo“, e questo “riordino istituzionale, memoria e politiche giovanili” mi ricorda un sacco il “vedo gente, faccio cose” della sua amica fricchettona e allora oppongo, in un ideale colloquio col Richetti, la faccia assente e stralunata di Michele alla ricerca di qualcosa di solido, chessò un mezzo master, una stage da Bottura a spentolare (Modena, tre stelle Michelin), qualcosa che riconduca il futuro presidente della Regione Emilia-Romagna a una fatica esterna alla politica, proprio per giustificare pienamente l’idea renziana che si è “prestati” alla politica e non “legati” alla politica.

Epperò un mestiere vero emerge, dal curriculum richettiano. È giornalista come noi, un collega perdiana, ma lui quel mestiere lo subordina a mille altri incarichi politici, come non ne riconoscesse la dignità (e avrebbe ragione, guarda com’è ridotta la categoria). E quindi in ordine di importanza ci dice, in terza persona: “Già Presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna dal maggio 2010, da cui si è dimesso nel dicembre scorso per partecipare alle Parlamentarie del Pd della provincia di Modena, dove è risultato il più votato con 9404 preferenze”. E poi finalmente arriviamo noi, noi quarto potere, anche se nel curriculum di Richetti pare una minestrina assai sciapa: “Giornalista pubblicista, ha collaborato con quotidiani e periodici, e diretto alcune testate locali” (ma nomi non se ne fanno), e poi finalmente la rivelazione: “È in aspettativa dal suo incarico presso la Direzione Generale della Provincia di Modena dove si occupava della Comunicazione e Relazioni Esterne”. Al che uno, da collega, solidarizza immediatamente: poverino, ha perso il posto, le province le hanno abolite!

Ma insomma, siamo alle solite. L’accesso alla politica, anche alla politica nuova che Renzi vuole fieramente interpretare, è sempre appannaggio dei politici, che siano giovani, quarantenni, molto più sciolti, molto più diretti, molto meno impatoiati, ma sempre politici. Innesti della società civile, zero. Lo dicevamo qualche post addietro, le persone che hanno una vera carriera professionale non vengono a perdere cinque anni di non-aggiornamento professionale, preferiscono non essere stritolati dalla politica come rotelle di un ingranaggi più grandi. E allora si sceglie nel solito stagno.

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