Quarantacinque minuti di emozioni ed altrettanti di tensione. Una finale prima bella, poi solo intensa. Fino al lampo di Mario Götze, a otto minuti dalla fine dei supplementari. E la Germania è campione del mondo. Trionfa sotto il cielo brasiliano nella sua notte meno brillante. Ma vincono lo stesso. Un po’ per presunzione, per non voler modificare mai il proprio modo di giocare. Un po’ per i meriti di un’Argentina generosa come sempre e più pericolosa del solito, che ha avuto tante occasioni di passare in vantaggio. Ma stavolta non ci sono beffe dietro l’angolo: niente lacrime e sconfitte cocenti, i rimpianti sono tutti argentini.
Esultano i giocatori in campo, Angela Merkel in tribuna, un’intera nazione a centinaia di chilometri di distanza per il quarto titolo della Germania e il primo successo dell’Europa in Sudamerica. In Brasile, alla fine, hanno vinto i più forti. Anche senza meritarlo nella partita più importante. Ci si aspettava una Germania dominante, o comunque un’Argentina arroccata come in semifinale contro l’Olanda. E invece il primo tempo si gioca a viso aperto. Con i tedeschi con il pallino in mano, certo, ma anche terribilmente esposti al contropiede avversario. E l’Albiceleste, ingolosita dagli spazi, meno passiva di altre volte.
Al 20’, però, è un episodio a regalare la prima, clamorosa palla gol del match: un retropassaggio di testa di Kroos libera davanti alla porta Higuain, che rientrava dal fuorigioco, ma spreca davanti a Neuer strozzando il destro e calciando a lato. Dieci minuti dopo la zampata sarebbe quella giusta su un cross dalla destra, ma Rizzoli annulla per fuorigioco su segnalazione del guardalinee Stefani. Chiamata ineccepibile, ma il pericolo resta. Le accelerazioni di Messi e soprattutto di Lavezzi sono un rebus insolubile per la difesa teutonica. Quei due hanno un altro passo, Hummels e compagni non li prendono quasi mai. Sull’ennesima incursione della Pulce, serve un salvataggio sulla linea di Boateng per evitare il vantaggio. Ma allo scadere trema anche l’Argentina, e il palo alla destra di Romero, su cui si stampa la capocciata di Howedes su angolo. Zero gol ma tante emozioni, è una grande finale.
Lo sarà meno nella ripresa. Sabella sostituisce Aguero per Lavezzi, il migliore in assoluto fin qui: non si sa se per scelta o per necessità, di certo dal cambio l’Argentina perde tanto. Anche se passano appena novanta secondi e a Messi capita la palla giusta per cambiare la storia dei Mondiali: solo davanti a Neuer, su una perfetta imbucata dalle retrovie, il suo sinistro rasoterra è fuori di un soffio. E dopo l’errore la sua stella si spegne. Anche la partita si imbruttisce: i ritmi si abbassano, la Germania è stanca e confusa, l’Argentina riparte di meno. Aumentano gli errori, i falli, i cartellini. Kroos di piattone da fuori ha una buona chance all’80’, sostanzialmente l’unica fino alla fine.
Ci vogliono ancora i supplementari. Qui la partita si ravviva: parte forte la Germania con un tiro di Schurrle, poi Palacio divora un gol che nella nostra Serie A segnerebbe ad occhi chiusi. Ma oggi la palla ha un peso diverso. È la terza volta che l’Argentina mette un suo attaccante a tu per tu con Neuer, è la terza enorme occasione sprecata. Troppe in assoluto, figuriamoci per una finale mondiale dove tutto si decide sul filo del rasoio. Le leggi del calcio sono implacabili. Ed è per questo probabilmente che la Germania diventa campione del mondo quando tutto sembrerebbe portare ai calci di rigore.
A otto dalla fine, su una corsa di Schurrle sulla fascia sinistra, la difesa argentina si fa trovare impreparata per la prima volta nelle ultime quattro partite. Il cross morbido trova al centro dell’area di rigore Mario Götze: il più opaco dei talenti tedeschi, che aveva cominciato titolare il torneo e finito come ultima scelta fra le opzioni di Löw. È lui a stoppare di petto, e infilare di sinistro Romero in uscita. È lui a regalare alla Germania quella coppa che mancava da ventiquattro anni, dalla finale di Italia ’90 proprio contro l’Argentina e dalle lacrime di Maradona.
Oggi come lui piange Leo Messi: non solo per la sconfitta, anche per non esser stato capace di esser decisivo nella gara della vita. Pure l’ultima punizione partita al 123’ dal suo sinistro vola altissima in tribuna. Non c’è più tempo per rimediare, Rizzoli fischia tre volte. Trentadue giorni, sessantaquattro partite e 169 gol segnati dopo, è tutto finito. Brasile 2014 entra nella storia come la Coppa del Mondo del quarto titolo della Germania. Sono loro i campioni del Mondiale dei Mondiali. Che già ci manca. Appuntamento fra quattro anni in Russia.