In una Gaza che l’immaginario rende sempre più simile a una Stalingrado mediorientale, dove la popolazione civile cerca riparo lontano dalle incerte linee di fuoco – ma dove la prima linea è frammentata e sparpagliata per tutti i maggiori agglomerati urbani della Striscia – si avvicina sempre più l’ora e il frastuono che i cingolati israeliani si apprestano a rilasciare oltrepassando la frontiera che separa israeliani da palestinesi. E ci son già truppe di Tsahal infiltrate tra le costruzioni e il reticolo di tunnel della Gaza sotterranea, dove Hamas ammassa i razzi che martellano da ormai quasi una settimana le città ‘nemiche’.
Prima dell’invasione di terra i vertici militari israeliani vogliono esser ben certi di aver resto inservibili il maggior numero di rampe di lancio e aver costretto nei rifugi la gran parte delle brigate dell’esercito di Hamas, per ridurre il rischio di brutte sorprese quando i soldati entreranno nella Striscia.
Sanno bene che la cattura – ancora più che l’uccisione – di un solo militare renderebbe spinosissimo il ‘fronte interno’, quello dell’opinione pubblica, e uno stillicidio la conduzione della campagna militare. L’ombra dell’incubo della prigionia del soldato Shalit (per oltre 5 anni anni nelle mani di Hamas e liberato soltanto verso la fine 2011 con un complesso scambio di prigionieri) si allunga sulle truppe che stanno ultimando i preparativi dell’intervento.
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Oltre 160 i morti tra i palestinesi