La vita continua mentre, a Gaza, i palestinesi, tra cui molti bambini, vengono uccisi dagli attacchi israeliani. Se da una parte non è forse possibile farsene una colpa, dall’altra dovrebbe essere necessario farsi carico di una responsabilità: l’orrore di quel che  avviene sotto i nostri occhi accade senza che l’indignazione assuma, quasi mai, forme concrete per impedirlo.

La vita  continua e lo farà anche indipendentemente da quel che proviamo per quanto sta accadendo, ma rendiamoci almeno conto di come altre priorità vengano facilmente ad interporsi tra noi e quel che non vogliamo ascoltare e vedere. Diciamocelo in faccia! Siamo un paese in grado di emozionarsi visibilmente per una partita di calcio, si piange e si palpita per la Nazionale e la sua sorte, ma gli orrori di quello che sta accadendo ai palestinesi, emotivamente siamo in grado di liquidarli con molta più facilità. Quanti non avranno dormito per la sconfitta dell’Italia o si saranno portati dietro per giorni il pensiero della mancata vittoria? Quanti avranno perso qualche ora di sonno pensando ai bambini di Gaza o avranno continuato a pensarci nelle ore successive all’aver appreso le notizie che arrivavano? Credo che se avessi, per assurdo, questi dati in mano, troverei numeri molto diversi.

Non fosse stata Gaza sotto attacco, ma una città europea o americana il pensiero che i Mondiali sarebbero stati fermati per rispetto delle vittime mi viene con troppa facilità.

Non ho nulla contro il calcio, voglio chiarirlo, non lo seguo e non ci ho quasi mai giocato, ma questo non significa che non lo rispetti, se pulito e ben giocato, come rispetto chi lo gioca e chi lo segue, ma lo utilizzo come esempio delle contraddizioni che divorano la nostra società in quanto emblematico. Non è il calcio di per sé il problema, ma i significati di contorno che esso assume tra la gente comune.

“E solo un gioco, c’è la crisi, almeno il calcio lasciatemelo stare” potrebbe dire più di qualcuno, “è solo un’arma di distrazione di massa, in questo modo si distolgono le persone da pensare ai veri problemi” potrebbe controbattere qualcun altro. Entrambe le affermazioni dicono il vero, d’altronde il gioco e le proprie passioni sono distrazioni, mezzi per non pensare ad altro e prendersi cura di sé a livello più intimo, anche se collettivamente questo può trasformarsi in una cecità sociale.

Il mio intento non è quello di dare lezioni di vita o valutare cosa sia corretto o meno provare a fare, ho uno spazio pubblico, un blog su un giornale conosciuto in cui poter scrivere e a questi pensieri, per me, è necessario dare una forma, nominare le cose è importante e forse voglio semplicemente dire a me stesso, mentre vi scrivo, che so quello che sta succedendo in questo momento a Gaza e che la mia vita sta continuando tranquillamente e questo è terribile, a tratti non se ne regge il peso.

 In quel”tranquillamente” c’è tutta la miseria del mio essere umano facente parte di una società che contribuisco anche io ad alimentare così come si presenta. Sapere di questa povertà mi permette di non fingere e di pagare un intimo prezzo di qualcosa che voglio acquistare: l’impotenza da esplicitare, ma anche la responsabilità che non mi voglio negare.

La vita continua, non sempre se vivi a Gaza.

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