Con le dimissioni del presidente della Regione e le accuse all'ex sindaco di Bologna, tramontano le figure politiche cresciute intorno a Bersani e Prodi. E ora che arrivano le primarie, Renzi vorrà un suo 'uomo' dietro la scrivania di viale Aldo Moro
È stata una settimana horribilis quella del Partito democratico in Emilia Romagna. Il de profundis di quella classe politica che intorno alle figure di Pierluigi Bersani e Romano Prodi aveva messo su i suoi dirigenti, che dalla fine degli anni Novanta hanno amministrato la terra più rossa d’Italia. La condanna in appello per il governatore bersaniano Vasco Errani nel caso Terremerse, le otto richieste di rinvio a giudizio per il caso People mover, con un ex sindaco prodiano, Flavio Delbono e un ex assessore imputati assieme al numero uno della coop rossa Ccc, hanno messo sottosopra la regione rossa, l’ultima Stalingrado ancora non renziana. Stavolta il lavoro per il premier che fu ‘rottamatore’ lo ha involontariamente fatto la giustizia. E ora via con le primarie: che si tratti di Stefano Bonaccini, del suo fedelissimo della prima ora Matteo Richetti, del sindaco di Imola Daniele Manca o di quello di Forlì Roberto Balzani, Matteo Renzi metterà un suo uomo anche dietro la scrivania di viale Aldo Moro. E il modello emiliano ammainerà definitivamente la sua bandiera per lasciare il posto a quello fiorentino.
La prima bomba scoppia martedì 8 luglio. È un tranquillo pomeriggio estivo e Bologna è ormai una città proiettata verso le ferie d’agosto. Sono le 14 e 52 quando si conclude la seduta a porte chiuse del processo d’appello contro il presidente Vasco Errani e due funzionari della Regione da lui guidata da 15 anni. “Il mio assistito è stato condannato a un anno con la sospensione condizionale. È una sentenza sconcertante e faremo ricorso in Cassazione”, comunica, scuro in volto, l’avvocato del politico Alessandro Gamberini. Nessuno se lo aspettava. In molti neppure si ricordavano più del caso Terremerse dal quale Errani era stato assolto nel novembre 2012. Allora il governatore di Massa Lombarda era al culmine della sua carriera politica: braccio destro di Pierluigi Bersani nella corsa a Palazzo Chigi, era pronto a diventare quello che oggi è Graziano Delrio per Matteo Renzi. L’assoluzione in primo grado, con rito abbreviato, fu veloce. Appena due giorni e via. La vittoria giudiziaria di Errani rese ancora più trionfale quella di Bersani alle primarie contro Renzi di pochi giorni dopo. Poi il tracollo. La sconfitta dell’ex segretario del Pd alle elezioni politiche del febbraio 2013 arriva come un fulmine a ciel sereno. Per Errani, che avrebbe dovuto terminare definitivamente il suo mandato a marzo 2015, la “non vittoria” di Bersani è una condanna politica. Lui, da uomo di partito quale è sempre stato, scompare dalla scena e sceglie il basso profilo. Continua a reggere la Regione, l’emergenza terremoto, la conferenza delle Regioni, ma lo fa lontano il più possibile dalle telecamere e dai taccuini.
Unico tra la vecchia guardia democratica in Emilia Romagna, Vasco non si accoda ai cosiddetti “renziani del 27 febbraio”: il segretario regionale Stefano Bonaccini, il sindaco di Bologna Virginio Merola, il segretario di Ferrara Paolo Calvano, solo per citarne alcuni, da bersaniani di ferro passano dalla parte di Renzi appena l’ex segretario cade in disgrazia politica. Errani invece gli resta vicino anche nelle ore più difficili, al capezzale di Parma nei giorni dell’ictus. Un fiero Sancho Panza a fianco al suo don Chisciotte dolorante, proprio mentre tutti abbracciano la nuova linea che viene da Firenze. La questione Terremerse intanto rimane lì in attesa del secondo grado: col ricorso in appello i pm della procura di Bologna spiegano già a febbraio 2013 di credere ancora nella colpevolezza di Errani, accusato di falso ideologico. A metà giugno 2014 l’udienza e la richiesta del sostituto procuratore generale in aula: due anni per il governatore.
Poi la sentenza, pesante come un macigno, e quelle dimissioni, arrivate così in fretta (36 minuti dopo) che è come se quelle poche righe di comunicato fossero già state scritte. Scritte e tenute nel cassetto, come fa un generale con la sua pistola. “A tutti, ancora grazie e un augurio di buon lavoro”. La seconda bomba arriva venerdì. I pm Francesco Di Giorgio e Antonella Scandellari (la stessa che indagò su Errani e Terremerse) hanno infatti chiesto il processo per otto persone nella vicenda del People mover, che del Pd è stato uno dei cavalli di battaglia in tutte le amministrazioni comunali degli ultimi 10 anni sino a quella attuale, guidata da Virginio Merola. Davanti al giudice per le udienze preliminari andranno tra gli altri Flavio Delbono, ex sindaco del Pd, Piero Collina, numero uno del Consorzio cooperative costruttori e Francesco Sutti, fino a pochi anni fa presidente di Atc, l’azienda dei trasporti bolognese.
Delbono è stato il sindaco del Cinziagate, dimessosi dalla carica dopo appena sei mesi, nel gennaio 2010. Cavallo di razza del Partito democratico emiliano, professore di economia della scuola di Romano Prodi che lo promuove per la candidatura a Palazzo d’Accursio, per anni vice proprio di Vasco Errani nella giunta regionale, Delbono è accusato ora di abuso d’ufficio. Una firma messa su un documento lo inguaia: “Non ho mai parlato di questa vicenda con Atc e Ccc, nessuno mi tira in ballo e i patti parasociali non li ho neanche letti. Pensavo si trattasse di un adempimento della gara fatta in precedenza dalla giunta Cofferati. Così non era ma l’ho scoperto dopo”, ammette lo stesso Delbono in una intervista al Corriere di Bologna.
E in effetti Delbono in questa vicenda arriva per ultimo: i padrini politici del People mover, coloro che fortemente lo vollero, furono proprio il predecessore Sergio Cofferati e il suo assessore Maurizio Zamboni. Non è stata una bella settimana neppure per le coop rosse, superpotenza economica in Emilia Romagna, ora passate ora armi e bagagli nel governo Renzi col ministro Giuliano Poletti. La stessa cooperativa Terremerse faceva parte della galassia Legacoop, mentre nel caso People mover i pm puntano tutta la loro ricostruzione sulla figura di Piero Collina. Secondo l’accusa, assieme al presidente dell’Atc, il numero uno del Ccc avrebbe istigato diversi funzionari comunali a mettere su un bando che permettesse al suo consorzio di ottenere l’appalto per poi riuscire a sfilarsi dalla gestione del People mover scaricando i costi su Atc, cioè sul pubblico. Pochi giorni prima il presidente di Legacoop Bologna, Giampiero Calzolari, aveva commentato le notizie che vedono le coop rosse coinvolte in molte importanti inchieste giudiziarie sui fatti avvenuti negli ultimi anni: Italferr, Città della salute, Mose, e a Bologna anche il Civis: “Qui appena uno alza un dito si apre un fascicolo: non va bene”, aveva commentato. Un ragionamento che, accoppiato a quello dell’assessore regionale Massimo Mezzetti (“Quella contro Errani è una sentenza viziata da un pregiudizio politico”), racconta di una classe politica ed economica dell’Emilia Romagna forse non più così “diversa”.