Bilancio mundial del piccolo schermo: la tv pubblica, alle prese con una forte spending review, non ha avuto il coraggio di rinnovarsi; il gruppo di Murdoch, complice la dipartita azzurra, ha fatto le cose sin troppo in grande
Nonostante la strategia marketing di Sky, che per giustificare un impegno ciclopico (forse sovradimensionato) lo ha definito “il Mondiale dei Mondiali”, il torneo che si è concluso ieri sera a Rio de Janeiro anche televisivamente ha deluso le attese. Da un lato il gigante di Murdoch, con studio panoramicissimo da “Grande Bellezza” carioca con vista su Copacabana, dall’altro le ristrettezze di Mamma Rai, che ha fatto quello che ha potuto (poco e male) con quello che aveva (pochissimo): un Mondiale da Ricchi & Poveri del piccolo schermo, che alla fine, però, ci consegna davvero pochissime novità.
In casa Rai, tra spending review da lacrime e sangue e faide interne a RaiSport tra vecchie mummie e rampanti innovatori, abbiamo dovuto di nuovo sopportare il commento tecnico (sic!) di Beppe Dossena, mitigato dal naufragio totale della spedizione azzurra, il solito studio catarifrangente di Paola Ferrari, le polemiche da pollaio di Varriale, gli imbalsamati collegamenti dal consolato italiano a Rio di Eugenio De Paoli, le incontinenze verbali (meno gravi di quanto ci hanno fatto credere) di Marco Mazzocchi, e soprattutto gli imbarazzati e imbarazzanti Andrea Fusco e Simona Rolandi, degni eredi della leggendaria coppia Fenech–Occhipinti del Sanremo di più di vent’anni fa, che con le loro Notti Mondiali hanno conciliato il sonno agli italiani meglio di una quintalata di melatonina.
Ma la situazione della nostra televisione pubblica è quella che è: lo sappiamo e ne prendiamo atto con dispiacere e un minimo di giustificato raccapriccio. Si salva, tra tutti, l’inviato in Brasile Alessandro Antinelli, bravissimo a miscelare sapientemente calcio e reportage, commenti a bordo campo e racconti di vita per le strade brasiliane. In Sudafrica, quattro anni fa, aveva avuto la possibilità di raccontare la realtà di quel paese con un occhio da bravissimo reporter; quest’anno, solo com’era nel deserto Rai, ha dovuto concentrarsi più sugli aspetti calcistici che sul resto. Ma lo ha fatto bene, come di consueto, a riprova che un po’ di rottamazione servirebbe anche a Saxa Rubra.
Per Sky il discorso è molto diverso. La pay tv satellitare ha investito moltissimo in una spedizione che ha ovviamente risentito della prematura dipartita delle speranze italiane, e alla fine della fiera sembra persino che sia stato fatto troppo. Dalle parti di Sky, ormai si sa, amano strafare, come chi si è arricchito improvvisamente mentre tutti gli altri si trovano con le pezze al culo e amano ostentare la loro isolata opulenza. E poi quanta retorica, santo cielo, nelle telecronache del pur bravo Fabio Caressa o nei collegamenti di quel poeta incompreso di Marco Nosotti! Ecco, uno dei pochi effetti positivi dell’eliminazione al primo turno della Nazionale di Prandelli sta proprio nella possibilità di evitare di assistere troppo a lungo a una retorica patriottarda che neppure D’Annunzio nel Quarnaro, un mix letale di metafore scioviniste che in Italia, paese non certo noto (e per fortuna) per il suo nazionalismo, suonavano grottesche e ridicole.
In ombra anche Nostra Signora del Calcio Ilaria D’Amico, la cui stella si è eclissata assieme alle ambizioni azzurre, e che da Milano non ha certo potuto raccontare l’atmosfera come gli inviati sul posto. Da salvare senza se e senza ma il commento tecnico di Daniele Adani, molto più bravo come aiuto-telecronista che come calciatore, dotato di un italiano più che soddisfacente e sempre puntuale negli interventi. Ecco, il commentatore tecnico è una delle cose più discutibili di questo Mondiale targato Sky: male ha fatto la Rai a cancellare del tutto la figura, salvando solo l’insalvabile Dossena, ma la pay tv di Murdoch avrebbe potuto scegliere meglio. Ciro Ferrara, per esempio, è stato una pessima spalla, senza tempi televisivi, impacciato, inadeguato al ruolo.
Oltre alla rivelazione Adani, da salvare anche Federico Buffa, cantore enfatico ma non retorico degli intrecci tra calcio, storia, società e politica, fine dicitore e paraculissimo Grillo Parlante di una spedizione altrimenti sin troppo scanzonata, al limite della gita scolastica. Niente di nuovo, dunque, sotto il cielo della televisione pallonara: il settore, che per ovvie ragioni non è mai in crisi, dovrebbe però trovare il coraggio di rinnovarsi radicalmente, soprattutto dalle parti di viale Mazzini. E a Sky andrebbe solo fatto capire, sommessamente, che “less is more”, regola imprescindibile che in una tv diretta discendente della casa madre anglosassone non dovrebbe mai essere dimenticata. Che siete ricchi lo sappiamo, che sapete fare le cose in pompa magna anche. Ma per raccontare il calcio come Dio comanda, in fondo, basta una dignitosa via di mezzo tra lo sfarzo pay e la miseria pubblica, una sfumatura che evidentemente, nel paese del bianco o nero a tutti i costi in cui viviamo, non esiste.