L’indiscriminata distribuzione di fondi è stata dettata anche da logiche burocratiche e clientelari e dalla mancanza di conoscenza del problema ma il pot-pourri di enti, consorzi, associazioni censito dalle Regioni è anche il prodotto della legge 119, cosiddetta sul femminicidio, che non individua quali sono i criteri qualitativi per definire un centro antiviolenza. Una legge mata male, con logiche securitarie e che dovrebbe essere modificata.
A Roma eravamo una sessantina: una per ogni centro. Abbiamo alzato lo striscione rosso di D.i.Re e altri cartelli e abbiamo gridato slogan contro il governo e la sua indifferenza nei confronti dei luoghi di competenza ed esperienza delle donne. Siamo maltrattate dal governo. Non avremmo potuto più sederci davanti ad una donna che rivela di subire violenze se non avessimo fatto sentire chiaro e forte il nostro dissenso perché la violenza contro le donne è anche un problema culturale e politico.
Mentre gridavamo la nostra protesta sotto le finestre della conferenza Stato-Regioni, è arrivata la Digos: la nostra manifestazione non era autorizzata. ‘Le donne danno il meglio di sé quando trasgrediscono le regole’ diceva una compagna di Roma. Ci hanno chiesto di mettere via i cartelli, li abbiamo girati e tenuti al collo e abbiano continuato a gridare slogan e allora la ministra Lanzetta ha incontrato una delegazione D.i.Re.
Le nostre richieste? I criteri siano selettivi.
Celeste Costantino, quando giovedì ha concluso la conferenza stampa, ha detto che in un Paese con la maggiore presenza di deputate della storia della Repubblica, con un Consiglio dei Ministri composto per metà di donne e con la terza carica dello Stato rappresentata da una donna non si può permettere lo svilimento dei centri antiviolenza. Eppure questo è accaduto, lo svilimento c’è stato.
Dopo la nostra protesta qualche risposta sta arrivando ma è ancora presto per dire quanto e se le richieste D.i.Re saranno accolte. Noi terremo il punto.
@Nadiesdaa