Secondo Daryl Fields, vicepresidente della sezione Sviluppo Sostenibile della Banca Mondiale, capire il nesso acqua-energia è fondamentale per affrontare la crescita e lo sviluppo umano, l’urbanizzazione e il cambiamento climatico. E secondo il rapporto Onu “Percorsi di profonda decarbonizzazione” i Paesi sviluppati non dovrebbero considerare la riduzione della loro produzione di gas a effetto serra come un vincolo alla prosperità: l’una e l’altra vanno perseguite insieme come direzione di uno sviluppo desiderabile, che sostituisce la crescita dell’era industriale.
Ricorro a queste due autorevoli affermazioni anche per rispondere indirettamente a frequenti critiche su questo blog: critiche comunque apprezzate ma spesso espresse con un eccessivo richiamo al realismo e ad un’esperienza di consumo di materia ed energia oggi e nel futuro irripetibile. D’altra parte, molti politici o non credono all’urgenza dei cambiamenti richiesti dall’ambiente naturale da cui traiamo la vita o trovano difficile trasformare questo concetto in realtà. Preferiscono farci credere che tutto si risolva nelle alchimie di palazzo, dentro un gioco in cui a noi tocca fare solo da spettatori.
Secondo l’Environment Institute di Stoccolma, il cambiamento climatico aggraverà la pressione sulle risorse e quindi aggiungerà alla vulnerabilità delle persone e degli ecosistemi quella della penuria d’acqua. Sono infatti molti i legami e la dipendenza reciproca di energia e acqua. Ad esempio, la produzione di energia, che assicura l’affidabilità di approvvigionamento idrico e la manutenzione, influisce negativamente sulla qualità dell’acqua attraverso l’acidificazione delle piogge, gli scarichi e i reflui che “memorizzano” anche il calore e l’inquinamento prodotto, l’accelerazione dell’evaporazione al di fuori del ciclo naturale. D’altra parte, la qualità dell’acqua influenza la capacità di fornire energia. C’è, in sostanza, un “circolo virtuoso”. Si può ridurre la necessità di acqua per processi energetici così come lo spreco di energia che “consuma” e deteriora acqua.
Una gestione di acqua ed energia in modo integrato è stato storicamente reso difficile dal fatto che chi decide e lavora nei due settori parla spesso diverse “lingue”, segue diverse prospettive, è diversamente attratto dalla biosfera o dalla geopolitica.
Durante una recente conferenza internazionale a Trinidad è stato sottolineato che le regioni povere d’acqua rappresentano oggi circa il 36% della popolazione mondiale e il 22% del Pil mondiale e che la domanda di acqua è cresciuta di 600 volte nel corso del 21° secolo. Pertanto una buona gestione dell’acqua è importante per la crescita (sostenibile) e per costruire la resilienza al cambiamento climatico. L’esempio portato è quello del lago Cyhoha in Ruanda: il consumo di legna per cucinare e il taglio di alberi è stato evitato con l’impiego di fonti di energia alternative per la gente della zona (cucine solari, stufe a basso consumo di carburante e digestori di biogas), impedendo una deforestazione che stava modificando lo spartiacque e riducendo la superficie del bacino.
Una profonda decarbonizzazione delle economie sviluppate potrebbe aiutare l’Ue a superare la recessione. Si tratta di una linea ormai assodata, che sarebbe resa più efficace dall’organizzazione di una “economia circolare” intesa come spinta verso più elevati livelli di riutilizzo e di riciclaggio.
Le maggiori economie mondiali sono spinte dall’opinione pubblica ad adottare misure per limitare il riscaldamento globale entro i 2°C, un obiettivo che richiede una quasi completa decarbonizzazione entro la seconda metà del secolo.
Non sembra tuttavia che la classe dirigente globale colga pienamente i nessi della rete che connette energia, acqua, decarbonizzazione, riciclo e minor consumi. Eppure, creare le condizioni per una transizione verso un’economia verde, creerebbe nuova occupazione ed eviterebbe per l’Italia e l’Europa gran parte delle delocalizzazioni perseguite da un capitalismo industriale e finanziario in campo ormai senza vincoli.