Anche in fotografia, oggi più che mai, la questione è vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno.
Chi lo vede mezzo vuoto, e ha le sue ragioni, si focalizza prevalentemente sul mercato asfittico dell’editoria in crisi, sulla bulimia superficiale da social, sull’incuria visuale dilagante.
Chi lo vede mezzo pieno, anch’egli con le sue “pezze d’appoggio”, si concentra piuttosto sul dato che – sembra un paradosso – mai come oggi è stato vivo e vivace l’interesse verso le proposte culturali legate alla fotografia, che si moltiplicano e hanno una crescita costante nella partecipazione del pubblico.
Dunque? Fotografia agonizzante o vitale? Una possibile risposta è: fotografia schizofrenica.
Essa viene contemporaneamente “annacquata” dall’attuale uso mordi e fuggi dei grandi numeri ma anche promossa dai grandi numeri stessi: se ogni mille giovani che fotografano con lo smartphone feste di compleanno da postare sui social anche uno solo s’incuriosisce e vuole approfondire, allora siamo salvi.
Questa tendenza positiva, questo “bicchiere mezzo pieno”, si può leggere per esempio nella crescita numerica e qualitativa dei festival di fotografia, sia in Italia che all’estero.
Queste manifestazioni, queste kermesse che si svolgono in ogni dove, hanno al centro la fotografia come cultura ma anche come passione, curiosità e divertimento.
Uniscono mostre, workshop, letture portfolio, intrattenimento e pure turismo, visto che ci si sposta e si soggiorna nei luoghi di svolgimento.
Ovviamente ce ne sono di ottimi e ce ne sono di mediocri. Mentre in questi giorni si aprono Les Rencontres ad Arles, una delle manifestazioni più importanti del mondo, qui in Italia il 17 luglio s’inaugura uno dei festival più interessanti e meglio organizzati: Cortona on the move.
Il festival ha vari ingredienti vincenti: il tema forte del viaggio, inteso non solo come esplorazione dello spazio fisico ma anche come viaggio interiore (infatti il sottotilo del festival è “Fotografia in viaggio” e non “di viaggo”); poi una selezione ragionata e attenta alla qualità degli autori proposti, dovuta alla grande competenza della curatrice Arianna Rinaldo. E ancora, un’organizzazione superefficiente con l’appoggio di partner istituzionali e privati.
Non da ultimo la cornice, ovvero la magia di un luogo come Cortona, contenitore ideale per un fuori-dentro in tensione estetica ed emotiva senza soluzione di continuità.
Nello scrivere di un festival di fotografia, di solito si accompagna il testo con una serie di foto tratte dalle varie mostre monografiche, col risultato di creare una sorta di “collettiva” che sposta il senso di ogni cosa, e dove ogni autore viene mortificato e reso incomprensibile estrapolando una o due foto dal suo intero progetto, a cui magari ha dedicato anni.
Dunque evito questo tipo di “rassegna stampa”, ma piuttosto scelgo arbitrariamente un solo autore invitandovi a scoprire di persona gli altri (tutte le mostre sono visibili fino al 28 settembre).
Io devo avere avuto una vita precedente in Polonia: andando a Paris Photo (ne scrissi qui) venni folgorato dal fotografo polacco Pankieviz e ora, tra gli autori – tutti interessanti – presentati a Cortona, mi intriga intensamente, quasi per le stesse ragioni, un altro fotografo polacco.
Si tratta di Tomasz Lazar, che presenta la mostra Theater of Life (realizzata in collaborazione con l’ente del turismo della Regione Podlaskie).
Difficile razionalizzare e dunque descrivere quel qualcosa che è la cifra narrativa di Lazar; è un misto di poesia, ironia, grottesco, incanto, stupore, equilibrio, sogno e pure incubo.
Il risultato è uno stile personalissimo non urlato ma penetrante, con uno speciale “imprinting” sottotraccia.
Se il lavoro di Lazar che viene presentato a Cortona è un viaggio – e deve in qualche modo esserlo, se è stato selezionato – che tipo di viaggio è, dove ci porta? Cosa ha visto il fotografo lungo il suo percorso? Ed è stato, il suo, più viaggio di chilometri o viaggio immaginario della mente?
Anche se già letta e riletta mille volte, mai come in questo caso sembra davvero appropriata la famosa frase di Proust: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
E il nostro Tomasz lo sa.