Il film, diretto da Micheal Bay e prodotto da Steven Spielberg, ha una sceneggiatura debole e un ritmo angosciante, dettato dall'azione che la fa da padrona fin dalla prima sequenza, levando spazio e tempo ai nuovi protagonisti, presentati senza una minima caratterizzazione. Non c'è più traccia neanche delle gag che avevano reso quantomeno godibili i primi film della serie
Cinque anni dopo la battaglia che aveva lasciato in macerie Chicago, in cui Autobot e umani erano riusciti a salvare la Terra, a tre anni da Transformers 3, arriva il quarto capitolo della serie cinematografica diretta da Michael Bay o meglio, il primo di una nuova trilogia. Nuova veste per i robot targati Hasbro e per il team creativo, che ha ridisegnato ogni singolo Transformer con tanto di nuova “versione automobilistica” per prendere le distanze dai precedenti capitoli. Addio alla splendida Megan Fox, sostituita già due capitoli fa con Rosie Huntington-Whiteley e via anche Shia LeBoeuf, che non si è lasciato convincere nemmeno da un cachet stellare, deciso da tempo ad abbandonare il carrozzone di Bay. Insieme a loro non c’è più traccia neanche delle gag che avevano reso quantomeno godibili i primi film della serie, in favore di una sceneggiatura ancora più debole, piegata dal peso degli effetti speciali, unico punto di forza di Transformers 4 – L’era dell’estinzione.
Un ritmo angosciante, dettato dall’azione che la fa da padrona fin dalla prima sequenza, levando spazio e tempo ai nuovi protagonisti, presentati senza una minima caratterizzazione. Un Mark Wahlberg inespressivo, abbonato oramai da anni allo stesso ruolo, fatta eccezione per qualche rara pellicola come The Fighter o Ted, una stereotipata coppia di giovanissimi, Nicola Peltz e Jack Reynor, che fa incetta di cliché a suon di frasi fatte e nemmeno un fuoriclasse come Stanley Tucci è riuscito a scampare a un testo talmente inconsistente da far risultare banale anche il suo personaggio.
Alla base c’è una sceneggiatura a cui è stato dedicato nemmeno un decimo del tempo destinato alla post-produzione. Ritroviamo un pianeta in cui l’umanità è già a conoscenza dell’esistenza della razza aliena mutante e tenta di ricomporsi dopo lo scontro tra Decepticon e Autobot. Protagonista in questo caso, un meccanico squattrinato (Wahlberg) con a carico una figlia, che tenta di sbarcare il lunario destinando il suo tempo alla realizzazione di improbabili invenzioni tecnologiche, fino alla scoperta di un camion che si rivelerà essere qualcosa di più di un semplice autocarro. Gli Autobot, quelli che fino a ora si erano schierati a favore della Terra, si ritrovano costretti a nascondersi dagli umani che danno la caccia a tutti i Transformers senza fare distinzione fra “buoni e cattivi”, vincolati da un accordo con il cacciatore di taglie Lockdown, sbarcato sul pianeta con lo scopo di trovare e catturare i cybertroniani sopravvissuti. Nel frattempo l’azienda con a capo l’eccentrico Joshua (Tucci) assolda un plotone di scienziati per spingere la ricerca oltre i limiti della tecnologia umana, prendendo spunto dal Dna dei Transformers, tanto da riuscire a ricostruire Megatron, riportato in vita con il nuovo nome di Galvatron.
Per contrastare queste minacce, Optimus Prime dovrà richiamare un nuovo esercito di Autobot, con l’aiuto di nuovi Transformers, i Dinobot, nientemeno che robot con forme di dinosauri. Per realizzare tutto questo, Bay, con l’aiuto di Steven Spielberg in veste di produttore esecutivo, ha speso oltre 200 milioni di dollari, una cifra che a margine del miliardo incassato dal precedente capitolo, impallidisce e che sarà ampiamente recuperata da un risultato al botteghino che già in America è campione d’incassi. Un cinema che vince al box office sì, ma che non è più cinema, come oramai Micheal Bay ha dimostrato da diversi anni, dirigendo film pensati e realizzati per essere perfetti franchise, vendibili sotto qualsiasi declinazione commerciabile, a scapito della creatività che rende unica l’esperienza del grande schermo.
Il trailer