“Ragazza laureata in lingue di 32 anni, cerca lavoro come impiegata commerciale estero, insegnante, agende di viaggi e per creazione di filmati audio/video per occasioni speciali”. Un’altra sfortunata? Neanche la conoscenza delle lingue può aiutare in questo Paese a trovare lavoro?
Qualcuno mi dirà: “Ma dove vivi Corlazzoli? Non lo sapevi?”. Forse ci siamo assuefatti a questa atmosfera, ai numeri sulla disoccupazione giovanile, a quel 21,8% di ragazzi tra i 24 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Eppure non riesco ad abituarmi alla storia di Laura che sulla “Soffiata” scrive: “Neolaureata cerca lavoro come cameriera o barista”. Non voglio nemmeno che diventi normale pensare che Giorgia, dopo una laurea in architettura, finisca a fare la badante all’anziana madre di un mio amico. Provate a fare un giro in qualche catena di fast food: quando acquistate le patatine fritte con il Mc regalo, chiedetevi chi è quel ragazzo che puzza di fritto. Cosa ha fatto fino a ieri, quella giovane dietologa, che trascorre la giornata a spremere legumi e melanzane? Perché deve stare dietro il bancone del bar?
I nostri giovani sono ormai disposti a tutti. Altro che “choosy“, “fannulloni”, “bamboccioni”, “sfigati” e “poco occupabili”, come li hanno definiti i politici dei vari governi che si sono succeduti.
Provate a trascorrere una mattinata al Centro per l’impiego della vostra città. Guardate in faccia i volti di quei ragazzi che arrivano a dichiarare il loro stato occupazionale. Sanno già che per loro non c’è nulla. Sul sito del Cpi di Cremona cercano saldatori, autisti, carpentieri, tutti a tempo determinato. Nulla di più. E allora vien da chiedere: a che servono i Centri per l’impiego?
Questa è la cartolina dell’Italia. Chi ha terminato la scuola secondaria superiore, non può iscriversi all’Università senza pensare al contesto socio economico di questo Paese.