Il decimo lavoro in studio di Morrissey, “World Peace Is None Of Your Business”, segna il passaggio dell’artista all’etichetta Harvest e vede Joe Chiccarelli (U2, Beck, White Stripes) alla produzione. L’album arriva a poco più di nove mesi di distanza dalla pubblicazione della sua “Autobiography” uscita per la casa editrice Penguin, la quale aveva immediatamente inserito il libro nella collana “Classics” attirando qualche polemica.
La figura di Morrissey ha da sempre diviso pubblico e critica: a partire dai suoi Smiths, un’intera generazione cresciuta durante gli anni ottanta – che in Inghilterra vedevano la Thatcher al comando – si è rispecchiata nell‘anticonformismo di una band che solo nel nome si allineava con la maggioranza. La poetica di Morrissey e gli arrangiamenti di Johnny Marr sono stati da subito una simbiosi perfetta e gli album che ne derivarono avrebbero contribuito a plasmare parte della cultura britannica. Non è un caso che ancora oggi si trovino continuamente approfondimenti sulla band, ulteriore testimonianza della forte impronta lasciata dagli Smiths.
C’era quindi molta attesa per il nuovo lavoro da solista di Morrissey, album che fin dal titolo mette in chiaro la situazione: “World Peace Is None Of Your Business”. Steven Patrick Morrissey da buon inglese (con sangue irlandese nelle vene) ha sempre saputo fare ottimo uso della raffinata arte della dialettica, senza risparmiarsi lucide stoccate là dove le situazioni lo richiedevano.
Il titolo dell’album sembrerebbe non lasciare spazio a fraintendimenti, eppure al suo interno si sviluppano diversi filoni tematici e altrettante varietà di arrangiamenti. La title-track che apre il disco è un pugno in pieno stomaco dal primo all’ultimo verso, con un messaggio crudo cristallino: “Each time you vote, you support the process”; non c’è via di scampo, nessuna assoluzione e siamo tutti (o quasi) allo stesso modo coinvolti, noi “poor little fool”. E poi con la sua consueta perfezione narrativa, in “Mountjoy”, quasi mosso da un moto di compassione chiude il cerchio portando nuovamente a galla un’elementare verità: “We all lose, rich or poor”.
I temi affrontati da Morrissey sono diversi: da vegetariano intransigente – in una recente dichiarazione affermava che non vedeva differenze tra il mangiare carne e la pedofilia, in quanto erano entrambi stupro, violenza e assassinio – riprende la sua battaglia in “Bullfighter Dies”; mentre con “Neil Cassady Drops Dead” ci spedisce un piccolo squarcio di epoca beat. In “Staircase At The University” punta il dito contro genitori la cui fame di competizione porterà al suicidio della propria figlia; poi si cambia registro per arrivare ad un padre che cerca il proprio figlio lungo le strade di “Istanbul”.
La varietà dei temi cantati porta accanto a se un’altrettanta diversità di arrangiamenti che non manca di avere leggere cadute di stile, come nel caso di “Earth Is The Loneliest Planet” dove il richiamo a le più inflazionate sonorità spagnoleggianti non creano un contrasto positivo, facendo cadere il pezzo in un’affollatissima area kitsch. Diverso e molto migliore è invece l’utilizzo della chitarra classica in “Smiler With Knife” uno dei brani migliori del disco, con un passaggio di accordi discendenti che lasciano scivolare la memoria dentro uno di quegli abissi tanto cari a Tom Yorke. “The Billfighter Dies” ha il perfetto riff alla “Smiths” e lo stesso vale per “Istanbul”.
Il disco si chiude con la solenne “Oboe Concerto”, dove Morrissey regala il suo ultimo ed eccellente colpo di penna: “The older generation have tried, sighed and died/ Which pushes me to their place in the queue”.