Angelo Cardani, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, presentando la relazione annuale a Montecitorio ha annunciato l'avvio di uno studio conoscitivo per capire "i reali bisogni dei cittadini" e "la sostenibilità economica e finanziaria di servizi sottoposti a nuovi modelli di offerta". Intanto Caio, numero uno di Poste Italiane, chiede più soldi per il servizio universale di consegna della posta e lavora a un piano industriale che taglia i recapiti tradizionali
Mentre in tutta Italia aumentano le segnalazioni di disservizi nella consegna di lettere e raccomandate, l‘autorità per le garanzie nelle comunicazioni informa di voler avviare un’indagine conoscitiva sulla “domanda del servizio postale”. Obiettivo: “Raccogliere tutti gli elementi per consentire all’autorità di affrontare in maniera sistemica il tema del servizio universale, coniugato tra i reali bisogni dei cittadini e dei consumatori e la sostenibilità economica e finanziaria di servizi sottoposti a nuovi modelli di offerta”. Ad annunciarlo, durante la presentazione della relazione annuale a Montecitorio, è stato il presidente dell’authority, Angelo Cardani. Che ha detto anche di “guardare con favore al progetto di privatizzazione annunciato dal governo”, sul quale pure l’ad di Poste Italiane, Francesco Caio, sta cercando di prendere tempo. E non è l’unico segnale di contrapposizione frontale tra il regolatore e l’operatore che, nell’ambito del servizio universale (cioè, almeno in teoria, la consegna di lettere e pacchi anche nei paesi di montagna più sperduti e nelle isole), continua a mantenere una posizione da quasi monopolista. Proprio in queste settimane, infatti, Caio sta mettendo a punto un piano industriale che, stando alle anticipazioni, prevede un ulteriore ridimensionamento del settore postale tradizionale in favore dei più redditizi e-commerce e logistica.
Non solo: con l’autorità è in corso anche un tira e molla sulla remunerazione del servizio universale, per il quale oggi lo Stato riconosce a Poste un corrispettivo di 340 milioni l’anno. Il contratto deve essere rinegoziato per il prossimo triennio e il compito di quantificare il costo effettivamente sostenuto dalla società dei recapiti spetta all’Agcom. Ebbene, mentre Poste rivendica il diritto a un rimborso di 700 milioni per il 2011 e altrettanto per il 2012, l’autorità ha adottato una nuova metodologia di calcolo, quella del “costo netto”, che potrebbe sfociare in una revisione al ribasso della cifra.
Cardani ha specificato che il tema andrà affrontato anche in sede comunitaria. Anche perché, ha ricordato, “quali regolatori del settore postale non possiamo trascurare le evidenti asimmetrie tra gli operatori dei servizi postali (dal regime Iva alle riserve legali, ai bandi di gara, ai sussidi incrociati), né i vuoti di tutela ancora esistenti per l’esercizio di diritti legati al servizio”. Ben venga dunque il progetto di privatizzazione, “che potrà contribuire ad una maggiore trasparenza e spingerà verso maggiore razionalizzazione ed efficienza dei servizi”.
Infine, altro tasto dolente, il numero uno dell’Agcom ha sollecitato il Parlamento a riconoscere all’authority il corrispettivo dovuto per l’esercizio delle “funzioni di regolatore postale”. Ruolo che Agcom esercita dal 2012, ma “senza la fonte di finanziamento prevista dalla legge: un’anomalia che dopo oltre due anni diviene difficile da spiegare, ancor più alla luce di alcune recenti pronunce del giudice comunitario e nazionale”. Il credito accumulato dall’autorità ammonta, per il biennio, a 11 milioni di euro.
Tornando alle rivendicazioni di Poste, fonti parlamentari hanno fatto sapere che nel dl Competitività ora all’esame delle commissioni Industria e Ambiente del Senato potrebbe entrare un emendamento che preveda per quest’anno il pagamento da parte dello Stato al gruppo di crediti per un ammontare che si aggirerebbe sui 535 milioni di euro. La misura, che andrebbe a rispondere a una sentenza europea in materia di aiuti di Stato, potrebbe essere inserita nel provvedimento con un emendamento dei relatori o del governo.
Mentre Cardani parlava a Montecitorio, l’ad di Poste Vita, Maria Bianca Farina, era in audizione davanti alla Commissione bicamerale di controllo sugli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza. A cui ha chiesto di spingere perché gli italiani “investano sempre di più nella pensione complementare”. “Serve una discontinuità”, ha detto Farina. Soprattutto per “i giovani, che sono quelli che ne avranno maggior bisogno”. Quindi? “Maggiori sgravi fiscali con formule dedicate ai giovani”, è la ricetta inevitabilmente interessata della numero uno di Poste Vita. Che ha ricordato come circa 670 mila clienti si siano rivolti alla compagnia per un piano pensionistico individuale ma in Italia solo il 25% della popolazione attiva fa ricorso alla previdenza integrativa, “un numero che deve aumentare anche con più flessibilità, ad esempio introducendo la possibilità di utilizzarla in momenti diversi da quella obbligatoria, come nel caso degli esodati”.