Al giorno d’oggi in Italia un qualsiasi neolaureato alle prese con l’invio dei primi curricula lavorativi sa che deve dare prova di una conoscenza medio-alta della lingua inglese. È uno di quei requisiti minimi, necessari, ineludibili. E non per diventare amministratore delegato di una qualsivoglia società, ma semplicemente per poter essere considerato idoneo a svolgere uno stage di pochi mesi, di solito sottopagato. Anche per essere l’ultima ruota del carro per meno di un anno devi sapere leggere e scrivere in inglese.
Se invece aspiri a diventare Presidente del Consiglio, decidere le sorti dell’economia italiana, rappresentare il tuo Paese all’estero incontrando Capi di Stato e di Governo puoi anche fare a meno dell’inglese. Per non parlare poi di una terza o quarta lingua. Non esistono requisiti minimi per guidare il Governo.
Ora, è chiaro che il Presidente del Consiglio non viene scelto in base ai criteri utilizzati dalle imprese private per selezionare il proprio personale. E neppure attraverso un bando di concorso pubblico. Tutto dipende dalla libera volontà di deputati e senatori. Se il personaggio politico (o non politico) convince l’assemblea elettiva ottiene la fiducia, altrimenti torna a casa. Ma è possibile che deputati e senatori non prendano in considerazione neppure i requisiti minimi richiesti universalmente per qualsiasi attività professionale di medio-alto livello quando affidano il Paese nelle mani di qualcuno? È chiaro, nessuno li obbliga a farlo. Ma qui si pone una questione di opportunità.
In un’unione di Stati come quella europea, in cui le grandi decisioni politiche vengono prese negli incontri internazionali di Bruxelles, possiamo ancora pensare di avere un capo di Governo che non riesce a esprimersi in un inglese fluente? Certo, direte voi, ci sono i traduttori. Ma nei momenti in cui si decidono le sorti di decine di milioni di persone cercando di mediare tra crescita, stabilità e contenimento del debito pubblico in 28 Paesi differenti forse sarebbe opportuno che ogni rappresentante sia in grado di esprimere le sue idee in un buon inglese.
Non è chiedere troppo. È chiedere ciò che imprese, pubblica amministrazione e organizzazioni internazionali chiedono quotidianamente a tutti i giovani italiani alla ricerca del primo impiego. É paradossale, ma sembrerebbe che la scala delle competenze sia disposta al contrario rispetto a quella gerarchica. Se vuoi fare uno stage in una istituzione europea devi avere un curriculum di alto livello, e devi conoscere alla perfezione almeno l’inglese e un’altra lingua straniera. Se invece vuoi diventare Vicepresidente del Parlamento europeo puoi anche esprimerti in un’inglese maccheronico.
È ovvio che conoscere l’inglese non significa essere politicamente più competente. Puoi essere analfabeta e avere delle intuizioni geniali. E puoi conoscere alla perfezione cinque lingue e avere delle idee mediocri. D’altra parte quando qui in Italia i tecnici con i super curricula hanno messo in stand-by i politici non è che la situazione sia cambiata molto, anzi. Ma l’inglese è una di quelle competenze che in un mondo globalizzato non puoi fare a meno di avere, se vuoi sederti al tavolo del G8 o presiedere il Consiglio dell’Unione europea.
Negli anni passati gli italiani sono sempre stati un po’ vittime di pregiudizi nel mondo e in Europa per la loro scarsa conoscenza delle lingue straniere. Ma oggi non è più così. C’è una folta schiera di manager, camerieri, professori, ricercatori, studenti, operai, barman, cuochi, pizzaioli, sportivi e lavoratori stagionali che per una ragione o per l’altra si guadagna da vivere nel mercato globale del lavoro, risiede o trascorre lunghi periodi all’estero, e si esprime in un buon inglese, in alcuni casi anche impeccabile.
Tutte queste persone meritano di essere rappresentate nel mondo da un Presidente del Consiglio all’altezza dei tempi. Alla loro altezza.