Negli Stati Uniti il numero di baby sitter e domestici è raddoppiato dal 2000 al 2010. E anche in Italia i maschi che si dedicano a mestieri "rosa" sono una tendenza in aumento, chi per scelta, chi con vergogna perché non ha un'altra possibilità
Giovanni fa il baby tutor, Marco è segretario, Mario colf e Stefano badante. Uomini che scelgono di fare “lavori da donna”, perché la crisi lo impone, qualche volta, ma spesso per vocazione. Difficile fornire un dato esatto di quanti maschi si dedicano ai mestieri tradizionalmente ritenuti femminili, ma le statistiche fotografano una tendenza in generale aumento, da cui non è esclusa l’Italia. Secondo il New York Times il numero di “tati”, “domestici” & co. è raddoppiato dal 2000 al 2010. Il punto della situazione lo fa il saggio Trasformazione del lavoro nella contemporaneità. Gli uomini nei lavori non maschili, firmato dalle sociologhe e docenti universitarie Margherita Sabrina Perra (Università di Cagliari) e Elisabetta Ruspini (Università Milano-Bicocca). “Nel nostro Paese gli studi di genere al maschile sono recenti”, spiega Ruspini. “Anche per questo è più difficile fare statistiche. Sicuramente la migrazione degli ultimi anni ha influito e portato una mascolinità differente“. L’autrice spiega anche come la crisi abbia costretto molti uomini a fare di necessità virtù e a dedicarsi a lavori tipicamente femminili: “Sia in modo professionale, sia rimanendo a casa e sostituendosi alla moglie o alla compagna nella responsabilità delle faccende domestiche” – continua la docente. “Queste però non sono le uniche motivazioni. Ci sono sempre più uomini che scelgono deliberatamente professioni legate alla cura della persona, più ragazzi che si iscrivono a corsi di Pedagogia e Scienze della Formazione o che fanno gli assistenti sociali”.
È il caso di Stefano Petrelli, 40enne romano, che di professione è infermiere-badante. “Ho vissuto tutta la vita con mio nonno, quando si è ammalato l’ho accudito fino alla fine dei suoi giorni, gli ero molto affezionato. Forse è in questa occasione che ho sviluppato la predisposizione all’accudimento e ho deciso di farne il mio mestiere”. Stefano ha una laurea breve in infermieristica e assiste a domicilio soprattutto anziani e malati gravi. “Non penso assolutamente che il mio sia un lavoro da donna”, precisa Stefano. “Penso invece che la forza fisica di un uomo sia un punto di forza, soprattutto se si seguono persone con problemi motori”. Giovanni Tulli Guardabassi, 23 anni studente di ingegneria, fa il baby tutor per Le Cicogne, start up romana di baby sitting. Per lui si tratta di un’esperienza a termine, ma si è appassionato al lavoro. “Sono stato coinvolto casualmente in quest’ avventura, all’inizio ho dovuto sopportare qualche battuta e pregiudizi da parte dei miei coetanei. Anche le famiglie erano un po’ diffidenti. Oggi invece chiedono espressamente di me o di altri ragazzi e anche molti miei amici vogliono fare i baby tutor. È una figura simile a quella di un fratello maggiore ed è anche più autorevole”. Aspetto su cui è d’accordo anche l’autrice del saggio Trasformazione del lavoro, Elisabetta Ruspini: “Per i maschietti è molto più stimolante avere un ragazzo come baby sitter, perché possono fare sport insieme o condividere particolari interessi e, alla fine, piace anche alle bambine”.
Tra tanti uomini, giovani e meno giovani, che si dedicano con piacere a mansioni femminili c’è anche chi è costretto a farlo per necessità. Come Mario C., 43 anni, che a Il Fatto Quotidiano racconta: “Avevo la mia piccola impresa di costruzioni, ma la crisi l’ha distrutta. Oggi faccio l’uomo delle pulizie, è l’unica prospettiva concreta avuta dopo il fallimento, ma mi vergogno a dirlo in giro. Anche i miei datori di lavoro all’inizio si fidavano poco”. Nonostante qualche diffidenza iniziale, sono comunque sempre di più le donne che assumono collaboratori uomini e non solo per svolgere le faccende domestiche. “Il mio assistente è un giovane neolaureato”, continua Laura Losi, amministratore delegato di una piccola impresa milanese. “Ho scelto di affidare a lui la mia agenda perché al colloquio mi ha fatto un’ottima impressione: parla tre lingue e ha sbaragliato tutta la concorrenza femminile. Per me il sesso non conta, vale la preparazione”.
Sempre secondo Ruspini, l’ingresso degli uomini nelle professioni femminili è una vera e propria rivoluzione culturale e sociale, favorita anche dall’apertura mentale delle nuove generazioni, che può portare a un cambio di prospettiva e di gestione della vita familiare. L’Eurostat, infatti, ha allertato che che in Italia le donne dedicano alle incombenze domestiche il 200% del tempo in più degli uomini. Una tendenza che ci vede ultimi in Europa, dopo la Spagna. Ed è proprio questa classifica che per le due sociologhe potrebbe cambiare grazie alla diffusione dei lavori “rosa” tra gli uomini. “Così le donne cominciano ad avere aiuti concreti in casa e ci si rende conto che la mascolinità non è granitica”, continua Ruspini. “Stiamo facendo passi avanti, ma ci vorrebbero progetti educativi e il sostegno delle istituzioni, locali e nazionali. Anche su questo fronte, l’Italia è più indietro rispetto agli altri Paesi d’Europa”.