La decisione è stata presa dal plenum di Palazzo dei Marescialli presieduto da Michele Vietti al termine di una lunga seduta nella quale sono stati presentati numerosi emendamentie limatura dei testi usciti dalla I e dalla VII Commissione. Rapporti critici tra la Direzione distrettuale antimafia di Milano e la Procura nazionale antimafia, una scarsa collaborazione accentuatasi da quando la Dda milanese è guidata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini
Il plenum del Csm ha deciso di trasmettere gli atti sulla vicenda della Dda diretta da Ilda Boccassini e la Procura nazionale antimafia al pg della Cassazione e al ministro della Giustizia per l’eventuale azione disciplinare. Gli atti riguardano solo la criticità dei rapporti tra la Dda milanese e la Direzione Nazionale Antimafia.
La decisione è stata presa dal plenum di Palazzo dei Marescialli presieduto da Michele Vietti al termine di una lunga seduta nella quale sono stati presentati numerosi emendamenti e limatura dei testi usciti dalla I e dalla VII Commissione. Rapporti critici tra la Direzione distrettuale antimafia di Milano e la Procura nazionale antimafia, una scarsa collaborazione accentuatasi da quando la Dda milanese è guidata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini.
Le contestazioni riguardano invece gli “scarsi” rapporti tra la Dda e il magistrato della Procura nazionale delegato a seguirla: in un faldone raccolto a Palazzo dei Marescialli, in seguito alle audizioni su questa vicenda, sono raccolte numerose mail alle quali la Boccassini non ha voluto rispondere collaborativamente. Sotto la lente dei responsabili dell’azione disciplinare ci saranno gli anni 2010-2013 con le “criticità” che si sono registrate. Durante il dibattito, Area – la corrente che raggruppa Magistratura Democratica e i Movimenti per la Giustizia – ha difeso con veemenza la Dda sotto attacco. “Si tratta non solo di uno degli uffici più impegnati sul fronte antimafia – ha dichiarato Borraccetti – ma è anche quello che ottiene i migliori risultati, e anche dal punto di vista collaborativo è uno degli uffici che risponde meglio”. Secondo il togato per mettere la parola fine a questo caso che ha dilaniato la magistratura milanese già provata dal contrasto Bruti-Robledo, sarebbe bastato “migliorare i rapporti tra i due uffici, Dda e procura nazionale con un input, a superare definitivamente la situazione, da parte del procuratore capo di Milano che d’altronde si è già speso in tal senso”. Area, anche con i laici del centrosinistra, ha invitato a risolvere questo contrasto “con la misura necessaria perché conviene a tutto il Paese”. Invece Angelo Racamelli, il leader di Magistratura Indipendente a Palazzo dei Marescialli, ha insistito ad indicare le criticità nella conduzione della Boccassini. Su questa strada, prima della mediazione raggiunta, lo aveva seguito anche Mariano Sciacca di Unicost rilevando che “nella banca dati gestita dalla Procura nazionale antimafia “la Dda di Milano ha inserito solo 4 procedimenti rispetto ai 109 procedimenti aperti”. Per l’indipendente Nello Nappi andrebbe prima sciolto il nodo della direttiva sull’implementazione della banca dati. “Ricordo che non furono accolti i miei emendamenti – ha detto Nappi – per punire i magistrati che violavano il dovere di implementare l’archivio della banca dati e dunque le direttive in materia vuol dire che non erano vincolanti. Questa vicenda nasce dall’ambiguità delle linee guida e si chiuderà senza sciogliere il nodo come avvenuto per il caso Bruti-Robledo”. La decisione del Plenum sarà trasmessa alla V Commissione del Csm che decide sulle conferme o meno degli incarichi direttivi e semidirettivi delle toghe.
Lo scorso 2 luglio la Prima commissione del Consiglio superiore della magistratura aveva chiesto di archiviare il fascicolo sulla mancata collaborazione del procuratore aggiunto di Milano e la Direzione nazionale antimafia. Secondo i consiglieri la responsabile della Dda “non ha adottato soluzioni organizzative e operative che favorissero i rapporti di collaborazione” con la Procura nazionale antimafia; di più: sotto la sua gestione, per lo meno tra il 2010 e il 2013, c’è stato un “arretramento” sul piano delle informazioni che la procura di Milano ha inserito sulle sue inchieste di criminalità organizzata nella banca dati di via Giulia. Pur ritenendo che non vi siano “ad oggi ipotesi in alcun modo significative” rispetto alle proprie competenze, cioè non ci siano i margini per un trasferimento d’ufficio per incompatibilità, i consiglieri avevano al plenum di archiviare il fascicolo ma di inviare gli atti ai titolari dell’azione disciplinare, il Pg della Cassazione e il ministro della Giustizia, “per ogni eventuale valutazione di competenza”. I consiglieri avevano sollecitato la trasmissione delle carte anche alla Commissione per gli incarichi direttivi, perché ne tenessero conto quando Boccassini dovrà essere confermata nel suo incarico o concorrerà per altri posti direttivi.
Il problema principale è rappresentato dal “deficit informativo che caratterizza strutturalmente i rapporti tra la Dda di Milano e la Dna”. Un fatto “accertato”, secondo la Commissione, che accusava l’ufficio di Boccassini di inserire davvero con il contagocce le notizie sulle sue inchieste nella banca dati nazionale della Dna. Tant’è che su 101 procedimenti milanesi che hanno riguardato 1400 indagati “solo uno di essi è stato iscritto” nella banca dati. Si tratta di una prassi “del tutto distonica” rispetto alle normativa “che non da oggi regola la materia” e che la procura di Milano segue da sempre. Ma Boccassini non ha fatto nulla per migliorare i rapporti; tutt’ altro, osservano i consiglieri, che citano una nota dell’attuale presidente del Senato Piero Grasso, scritta quando era procuratore nazionale antimafia che testimoniava “una limitata disponibilità a una collaborazione continuativa” con l’ufficio di via Giulia.