Secondo l'opinionista di Haaretz, il premier israeliano non punta ad annientare l'organizzazione islamica, ma a far sì che continui a governare nella Striscia di Gaza perché l’alternativa sarebbe uno stato di anarchia impossibile da controllare. Il suo scopo è "ripristinare la situazione precedente allo scoppio del conflitto, senza però dover scendere a patti col governo palestinese. Ma non è possibile"
Questa guerra non fa comodo solo ad Hamas, ma anche, e soprattutto, al capo del Governo israeliano, Benjamin Netanyahu. Intervistato da ilfattoquotidiano.it, Gideon Levy, giornalista e opinionista di origini ebraiche, firma di Haaretz, spesso critico nei confronti della politica adottata dal suo paese riguardo alla questione palestinese, interpreta le mosse del primo ministro israeliano come un tentativo di mantenere il controllo di Gaza senza dover scendere a patti con i palestinesi.
Questo nuovo aumento della tensione tra Israele e Hamas ha facilitato anche la politica di Netanyahu, dato che lui si è sempre rifiutato di sedersi a un tavolo con Hamas?
“Assolutamente sì. Netanyahu non è mai stato interessato a un accordo con i palestinesi perché lo avrebbe costretto a rivedere la sua politica nella West Bank. Sono ormai sei o sette anni che l’atteggiamento d’Israele nei confronti dela Palestina segue questa linea e non credo che qualcosa possa cambiare in futuro. Dico questo perché il governo ha deciso di prendere le distanze da un possibile accordo con i palestinesi già prima del rapimento e dell’uccisione dei tre giovani israeliani”.
Un accordo tra Israele e un governo di coalizione palestinese avrebbe anche obbligato Netanyahu a rivedere la sua politica di espansione nei territori occupati.
“Infatti non ha mai preso in considerazione un’intesa con il governo di coalizione Fatah-Hamas, toglietevi questa convinzione dalla testa”.
Perché, allora, Israele si è dichiarata favorevole a un cessate il fuoco proposto dall’Egitto?
“Perché Israele non è interessata a portare avanti questa battaglia con Hamas. A Netanyahu interessa solo ripristinare la situazione precedente allo scoppio del conflitto, senza però il problema di dover scendere a patti col governo palestinese. Quello che il governo israeliano non capisce è che questo non è possibile. Portare la tensione a livelli così alti rende difficile tornare alla situazione di relativa calma, almeno dal punto di vista militare, di due mesi fa”.
La decisione di Netanyahu di rendersi disponibile ad un cessate il fuoco può venire dalla consapevolezza che Hamas, adesso che è isolata, rischia seriamente di scomparire?
“È esattamente il contrario. Netanyahu non vuole assolutamente che Hamas scompaia, ma vuole che continui a governare nella Striscia di Gaza. Questo perché l’alternativa sarebbe uno stato di anarchia che Israele non potrebbe più controllare. Il suo è un gioco d’equilibri: mantiene Hamas in una condizione da non nuocere a Israele, ma non lascia che scompaia perché si rischierebbe una destabilizzazione di tutta l’area”.
E mantenere Hamas in quella zona non obbliga Netanyahu a scendere a patti con loro.
“Esatto. In questo modo ha un’area, la striscia di Gaza, in mano a un gruppo terroristico con il quale non si può dialogare, ma che allo stesso tempo impedisce che si crei una situazione di completa anarchia che destabilizzerebbe la zona e la renderebbe incontrollabile”.
Quale sarà, allora, la prossima mossa di Netanyahu?
“Non ha una strategia a lungo tempo. Il suo unico obiettivo è ripristinare lo status quo e continuare con la solita politica a Gaza e, soprattutto, nella West Bank. Credo che assisteremo ad una sequenza ciclica degli eventi: i bombardamenti dureranno ancora un po’, fino a quando Hamas verrà rimessa al suo posto, seguiranno poi alcuni mesi di calma prima del nuovo scontro”.
Quindi un accordo tra Israele e Palestina, magari isolando Hamas, non sarà possibile nemmeno in futuro?
“A Netanyahu non interessa”.