Il 10 agosto – giorno di San Lorenzo e notte delle stelle cadenti – si avvicina a grandi passi anche per la politica italiana; in cui la moria di star sta verificandosi con un certo anticipo rispetto alla data canonica.

Silvio Berlusconi dimostra di aver esaurito la pur cospicua riserva di spiriti animali che sinora aveva contraddistinto la sua vicenda imprenditorial-politica, riducendosi a quello che in effetti è: un vecchietto pateticamente ripittato, che si appiglia pigolando al Patto del Nazareno (probabilmente speranzoso nelle clausole secretate che si intuiscono in tale accordo: un lasciapassare per sfuggire agli effetti incombenti dei suoi guai giudiziari?). Beppe Grillo vagola per Roma e nel blog facendo capire che la componente trattativista M5S, di cui l’aspirante ministeriale Luigi Di Maio è lo speaker, lo ha messo da parte (e lui stesso sembra disamorato, una volta preso atto che la politica è cosa troppo complicata per un comiziante a battute).

Ma la stella che maggiormente fa specie veder precipitare è quella più recente, il Renzi superstar. Difatti lo streaming di ieri sera, con il Matteo Superbone beato nelle sonorità del suo dire inespressivo, offriva la vista panoramica di un collasso siderale: la presa d’atto che il tempo della parlantina è agli sgoccioli, le furberie di Chichibio non funzionano più e ormai a chiacchiere stiamo a zero. Per mesi il premier ha sfinito gli italiani ripetendo “riforme, riforme”; come se tali fossero un pastrocchio per legge elettorale e la trovata di estendere l’impunità alle corporazioni politiche locali/regionali, fingendo di risistemare il Senato.

Intanto i processi di impoverimento procedevano con stivali delle sette leghe, mentre il barile di antiche accumulazioni di ricchezza veniva raschiato in tutte le doghe.

Purtroppo qui serve poco il chiacchiericcio renziano, la cui cultura è quella rampantistica dell’italian style, di netta derivazione vetero-craxiana (“l’Italia da bere”?): il fare comunella con un po’ di ricconi del food e del fashion; l’assicurare mano libera a sedicenti imprenditori che si sciacquano la bocca con “mercato” e bramano rendita monopolistica. Ancora una volta la mania degli “effetti speciali”, quando la lotta alla povertà reclama un altissimo tasso di pragmatico rigore.

I miei quattro lettori sanno quanto disistimi il personale umano che da decenni occupa lo spazio pubblico. Mentre la gente seria (tipo Fabrizio Barca) veniva espulsa dalla coalizione dei carrieristi tracotanti e inadeguati. Perciò sono amaramente convinto che continueranno a sfinirci di fumisterie fino alla crisi terminale.

Eppure le ricette per l’inversione di tendenza sarebbero disponibili. E senza scomodare esterofilie tipo New Deal rooseveltiani, intrecci pubblico-privato alla base ieri del miracolo giapponese e oggi cinese, politiche tedesche per il trasferimento tecnologico. Basterebbe ricordare lezioni nostrane, che hanno i nomi di Francesco Saverio Nitti o Ernesto Rossi: la messa in campo di task force tematiche, consapevoli che l’italica cultura amministrativa è inabile a gestire strutture complesse.

Il nostro Paese continua a presentare nicchie di competenze e abilità a rischio dispersione perché non adeguatamente supportate; nella competizione mondiale dove si vince aggregando masse critiche. Realtà pregiate, dalle liuterie di Cremona al distretto del mobile delle Murge, dalla meccatronica tra Reggio Emilia e Modena all’agro-alimentare residuo. Ambiti che attendono di essere rinforzati finanziariamente e organizzativamente; come potrebbero farlo team competenti, muovendosi entro le linee di una politica industriale tracciata da governi in grado di pensare sviluppo (una volta liberatisi degli americanismi mercatisti e/o NeoLib).

Il più grande uomo politico della storia nazionale – Camillo di Cavour – pose le premesse del Risorgimento con specifiche azioni mirate di sviluppo (bonifiche nel vercellese, collegamenti ferroviari Torino-Genova). Le star in via di spegnimento promettono Risorgimenti simulando azioni inesistenti.

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