Il Tour ha perduto due grandissimi protagonisti come Christopher Froome e Alberto Contador, come pure Andy Schleck che ha vinto a tavolino il Tour del 2010. Le volate sono più povere perché Mark Cavendish si è rotto la clavicola cadendo nello sprint di Harrogate, al termine della prima tappa; se ne è andato un fuoriclasse come Fabian Cancellara, usurato dalla fatica e dall’intensità dei primi dieci giorni di gara; oggi è stato il turno di uno stoico Andrew Talanski, sfibrato dai dolori per i postumi di tanti ruzzoloni, arrivato con le lacrime agli occhi e un ritardo di oltre 32 minuti, ma entro il tempo massimo. Una corsa imprevista, forse sconcertante. Ma straordinaria: merito di un percorso arduo e insidioso fin dal primissimo giorno. Questo Tour dei Caduti ha già catturato audience tv quasi da finale del Mondiale di calcio.
Lunedì 14 luglio, quando Nibali ha trionfato a La Planche des Belles Filles, solo in Francia la diretta è stata seguita da sei milioni di telespettatori con uno share di oltre il 30 per cento. Il Tour “cattivo” fin dalla prima settimana ha obbligato squadre e corridori a forzare i tempi, e forse le cadute non sono soltanto frutto della malasorte ma di un complesso di circostanze che hanno punito due dei grandi favoriti. Froome è caduto prima del pavé. L’incidente di Contador ha suscitato tanti interrogativi, appena qualcuno ha insinuato che poteva esser stato causato da un cedimento meccanico improvviso, subito la Tinkoff-Saxo si è preoccupata di smentire questa voce: per forza, non bisogna spaventare gli sponsor…
Devo dare atto a Christian Prudhomme di avere osato, rompendo una tradizione che voleva gli inizi del Tour relativamente tranquilli. Già lo scorso anno, con le prime tre tappe in Corsica, si era capito che Prudhomme stava cambiando formula. Ma il vero coraggio organizzativo l’ha avuto nel concepire una prima parte di Tour mozzafiato. Un percorso che non consentiva rilassamenti né distrazioni. Il maltempo ha reso ancor più difficile i primi dieci giorni del Tour 2014: nella tappa del pavé ha riportato il ciclismo all’epopea dei pionieri e questo si è tradotto in grande spettacolo. Uno spot formidabile. Il trittico dei Vosgi ha stabilito le gerarchie della corsa, ben prima delle Alpi e dei Pirenei. Nibali ha dimostrato di essere all’altezza di Contador sul terreno dello spagnolo, la salita estrema. Gli ha tenuto botta, scatto dopo scatto, nella breve arrampicata mozzafiato di Gérardmer. E’ lì che il messinese ha fatto intendere chi era il più forte. All’arrivo di Sheffield della seconda tappa, lo scatto imperiale di Vincenzo aveva fulminato Froome che non era stato in grado di riprenderlo. Segnali ben precisi che il plotone recepiva. Non a caso, l’Astana ha svolto il ruolo che negli ultimi due Tour aveva svolto la possente Sky di Bradley Wiggins (vincitore del 2012) e di Froome (2013). Per questo non ci si deve meravigliare se l’undicesima tappa da Besançon a Oyonnax ha regalato ancora una volta emozioni e spettacolo, sia pure grazie ad un tracciato finale molto nervoso e accidentato.
Dobbiamo arrenderci all’evidenza. Non c’è tappa, in questo Tour, che non possa offrire bagarre tra gli uomini di classifica, anche per disputare una volata. Oggi era apparentemente la classifica frazione per “baroudeur”, per un avventuriero della fuga, un guastatore. Comunque, per corridori che non impensieriscono il vertice della classifica. Invece si è infiammata negli ultimi trenta chilometri, coi migliori che hanno baccagliato nelle lunghe discese. Come previsto, la maglia verde Peter Sagan ha tentato di agguantare il successo che gli è già sfuggito sette volte. Deve essere destino. Le ha provate tutte, gli è andata di nuovo male: negli ultimi chilometri ha attaccato in discesa, si è trovato in testa, ma poi gli è sfuggito Tony Gallopin, la maglia gialla del 14 luglio. Assieme a Michal Kwiatowski, il ventiquattrenne polacco dalle mille vite e con Michael Rogers, il luogotenente di Contador che al Giro d’Italia aveva vinto fuggito sfruttando la picchiata sino a Savona, ha cercato di inseguire il francese.
Missione compiuta a tre chilometri dal traguardo. Il quartetto cominciava a temporeggiare. Ancora una volta Sagan ha tardato a prendere l’iniziativa. Pretendeva la collaborazione di Rogers e di Kwiatowski, i quali ben si guardavano d’aiutare uno che poi li avrebbe infilati senza pietà. Ne approfittava con audacia ed intelligenza Gallopin. Un allungo disperato, però inarrestabile. Cuore e gambe. Conosceva l’arrivo di Oyonnax, Piombava sul corso di Verdun dopo aver tarellato alla morte gli ultimi 1700 metri. Sagan non riusciva a recuperare lo svantaggio. Si arrendeva.
Una leggera curva a 230 metri dall’arrivo proteggeva Gallopin dal violento ritorno del gruppo che aveva ingoiato Sagan, Rogers e il polacco. Tony manteneva qualche metro di vantaggio: quel tanto che gli bastava per esultare. Alle spalle, il gruppo selvaggio dei velocisti poteva solo disputarsi il secondo posto. Il tedesco John Degelkolb della Shimano-Giant (a squadra di Marcel Kittel) liquidava facilmente i nostri Matteo Trentin e Daniele Bennati. Vincenzo Nibali ha presidiato con molta attenzione la testa del plotone e in discesa più volte ha staccato, insieme a pochi altri, i migliori della classifica. Soltanto Alejandro Valverde gli è stato a ruota, e pure Tejay Van Garderen.
Punzecchiature, messaggi in codice. Nel lungo rettilineo finale i gruppetti sparpagliati del plotone si ricompattavano. Il messinese ha confermato il proprio stato di grazia che incomincia a insospettire chi vede nelle sue performance qualcosa di stupefacente: segnalo l’articolo apparso sul quotidiano Le Monde, “Nibali et son équipe se promènent”, che raccoglie l’analisi di Antoine Vayer, ex preparatore della Festina, la squadra capitanata da Richard Virenque, coinvolta nel clamoroso scandalo doping al Tour del 1998, quando fu costretta al ritiro. Vayer da anni fa il commentatore sui quotidiani francesi (ha iniziato con l’Humanité, ha proseguito con Libération, dal 2010 con Le Monde. Ha creato una sua casa editrice, “Alternativ Edition”, è autore del pamphlet “Tous dopés?”, ha creato nel 1998 una struttura d’allenamento, di ricerca e comunicazione con lo scopo di proporre un’alternativa al doping, fondata su metodi di allenamento trasparenti, scientifici ed interattivi. Due anni dopo ha lanciato il manifesto “100 per 2000”, destinato ad enunciare le regole fondamentali di uno sport “dal volto umano”).
Nel suo articolo Vayer confronta i dati relativi alle potenze espresse in salita da Nibali. Sostiene che “inquieta”, perché apparterrebbe al club di quelli che sprigionano “più di 410 watt”. Nella salita della Planche, affrontata per metà dei suoi 5,9 chilometri all‘8,5% di pendenza senza accelerazioni particolari, si è avvicinato al record del “miracoloso” Froome, rimanendo sotto di 19 secondi e 13 watt, rispetto ai 467 del britannico. Vayar promette di “radarizzare” Nibali sulle grandi salite. Nibali non ha mai avuto problematiche legate al doping, sta passando, dicono all’Astana, un momento di forma eccezionale. Hanno persino fornito i dati delle sue prestazioni nella salita di La Planche: secondo loro ha sviluppato 415 watt di media, con un picco durato venti secondi – l’attacco a due chilometri e mezzo dall’arrivo – che ha toccato 600 watt.
Sarò sincero: non riesco ancora a pensare che il ciclista sia come una moto elettrica. Posso però osservare che vanno come moto. In certi momenti della decima tappa, hanno superato 100 chilometri all’ora (102, per l’esattezza), in discesa. Mantengono medie molto elevate: nella tappa del pavé, andavano a 47 all’ora. Michele Scarponi, per la cronaca, ieri è cascato ancora, senza danno. A domani che, come diceva Rossella O’Hara, è un’altro giorno.
Da Bour-en-Bresse a Saint Etienne, 185,5 chilometri. Ricordo, perché c’ero al Tour del 1990, che a Saint-Etienne Greg Lemond attaccò duramente Claudio Chiappucci in maglia gialla. C’era stato il giorno di riposo. Il Diablo pagò pegno, anche l’ex capitano Giupponi, forse per invidia, collaborò all’attacco dell’americano. La maglia gli restò addosso, ma il vantaggio si era ridotto a pochi secondi. Rimasi sorpreso anch’io, stavo finendo un lauto pranzo da Paul Bocuse. Fui costretto ad un inseguimento formidabile. Ebbi la fortuna di infilarmi tra il secondo e il terzo gruppo, dove rantolava il Chiappa. Così lo intervistai al volo. Per questo, non rinuncio al Tour des Gourmandes. Che è l’altra golosa faccia della Grande Boucle.