Jose Antonio Vargas è stato arrestato poi rilasciato dopo qualche ora, ma dovrà presentarsi davanti a un tribunale che può deciderne l'espulsione. Nel 2011 rivelò in un articolo sul New York Times di non avere documenti regolari, ma finora non c'erano state conseguenze. A seconda della decisione dei giudici, il presidente Usa si esporrà alle critiche dei progressisti o agli attacchi di chi lo ritiene troppo 'morbido' nei confronti dell'immigrazione
Jose Antonio Vargas, giornalista premio Pulitzer, il più celebre tra gli immigrati “senza permesso” negli Stati Uniti, è stato arrestato all’aeroporto di McAllen prima che potesse imbarcarsi su un volo per Houston. Vargas si trovava a McAllen, città texana a poche miglia dal confine con il Messico, per una conferenza organizzata da United We Dream, un gruppo che difende i diritti dei giovani immigrati illegali negli Stati Uniti. Proprio a McAllen, in questi ultimi mesi, sono arrivati migliaia di migranti dal Centro America. Dopo qualche ora Vargas è stato rilasciato e dovrà ora presentarsi davanti a un tribunale, che potrebbe decidere di deportarlo dagli Usa.
La storia “segreta” di Vargas è diventata pubblica nel 2011, con un articolo scritto dallo stesso giornalista per il New York Times. Nato nelle Filippine nel 1981, Vargas viene mandato a 12 anni a vivere con i nonni in California; qui, a Mountain View, frequenta le scuole pubbliche. Quattro anni dopo, al momento di chiedere la patente, il giovane scopre che i documenti forniti dalla sua famiglia sono falsi. Vargas decide comunque di mantenere il segreto sul suo status di illegale. Frequenta la San Francisco State University (dove, tra l’altro, fa coming out e dichiara di essere gay) e diventa uno dei più brillanti giornalisti della sua generazione. Lavora al Washington Post e fa parte del team che vince il Pulitzer per gli articoli sulla sparatoria al Virginia Tech. E’ questa storia, raccontata in un articolo sul New York Times, che rivela all’America la condizione di molti giovani che vivono da anni negli Stati Uniti, che si sentono americani ma che non hanno i documenti in regola. “Io sono americano. Solo che non ho le carte giuste”, ha scritto Vargas, che ha continuato a vivere negli Stati Uniti mediante una green card e una patente falsificate – oltre che grazie all’appoggio di amici e insegnanti.
Dopo la rivelazione del suo status di undocumented, Vargas non ha comunque subito alcuna ritorsione da parte del governo americano; la professione di giornalista e la popolarità conquistata in questi anni lo hanno in qualche modo protetto. Vargas si è sempre mosso per gli Stati Uniti col vecchio passaporto filippino – su cui però manca il visto. Ha continuato a scrivere, si è battuto per i diritti dei giovani migranti, ha prodotto un documentario sulla sua vita, Documented. La vita di questo giovane reporter è continuata senza grandi problemi sino al suo arrivo in Texas, lo Stato al centro di una battaglia politica attorno alle migliaia di migranti in arrivo dall’America Centrale.
La scorsa settimana il presidente Barack Obama ha annunciato pratiche per sveltire il rimpatrio della gran parte di questi, spesso minori. Ma al governatore repubblicano del Texas, Rick Perry, probabile futuro candidato alla presidenza, le assicurazioni di Obama non sono bastate. Perry ha più volte chiesto, e continua a chiedere, l’invio al confine della Guardia Nazionale e il rimpatrio immediato per i migranti. Vargas si è trovato coinvolto suo malgrado in questa polemica. Arrivato al confine per dare man forte ai giovani migranti rinchiusi nei centri di prima assistenza, non è più stato capace di abbandonare l’area. Tutte le vie di comunicazione da e per la Rio Grande Valley, al confine con il Messico e dove si trova la città di McAllen, sono infatti presidiate da posti di blocco della polizia di frontiera. Una volta presentatosi al check point dell’aeroporto di McAllen, con il passaporto filippino senza visto, Vargas è stato arrestato.
L’episodio pone ora un dilemma politico di difficile soluzione per Barack Obama. Se Vargas viene mandato davanti alle autorità dell’immigrazione, rischiando così l’espulsione, il presidente si espone alle critiche dei settori più progressisti del suo elettorato e dei gruppi pro-immigrazione, soprattutto quelli ispanici fondamentali per la vittoria alle prossime elezioni di medio termine. Se dovesse intervenire per facilitare l’accesso alla cittadinanza di undocumented come Vargas, Obama lascia nelle mani dei repubblicani un potente strumento di polemica politica: quello che lo accusa di eccessiva “morbidezza” in tema di immigrazione. La cosa certa è che Vargas e i gruppi pro-immigrati hanno scelto di usare l’episodio come una sorta di caso-limite su cui costruire la battaglia politica. Subito dopo l’arresto, i gruppi hanno organizzato una conferenza stampa a McAllen e una foto in manette di Vargas ha cominciato a girare sui social media.