In Italia una raccomandazione OMS, per quanto discutibile e
Intanto non esistono gruppi a rischio. Manca sempre, e chiediamoci perché, un “più” fondamentale in quell’espressione. Tutta la popolazione è a rischio indipendentemente dall’orientamento sessuale, ma alcune sotto-popolazioni sono più vulnerabili di altre per motivi diversi. Gli uomini che fanno sesso con uomini (gay e bisessuali maschi, per capirci) sono una di queste. E i dati, globali ed italiani, lo confermano. Le nuove infezioni tra i maschi omosessuali e bisessuali sono in aumento negli ultimi tre anni in Italia, ma non risulta affatto dai dati di sorveglianza nazionale un aumento tra i giovani gay. E’ vero semmai che i maschi omo-bisessuali che vivono con HIV sono mediamente più giovani rispetto agli etero, e in questo senso un rischio concreto di ulteriore propagazione in quella fascia di età c’è sicuramente.
La maggiore vulnerabilità c’è e ha aspetti diversi, alcuni dei quali non dipendono nemmeno dalle scelte comportamentali della persona. Aspetti statistici, perché una percent
E invece il nulla. Vuoto spinto. Il totale menefreghismo e la totale mancanza di strategia delle istituzioni e di molte associazioni (per molto tempo anche la mia) sull’HIV tra i maschi omo-bisessuali ha una declinazi
Arcigay è stata recentemente denunciat
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La prevenzione oggi potrebbe avvalersi di strumenti diversi ed efficaci, e per questo infatti si chiama combinata: preservativo e lubrificante innanzitutto, che rimane un pilastro. Ma anche la terapia stessa per chi è già sieropositivo per ridurre quasi a zero la sua capacità infettiva, oppure la PrEP suggerita da OMS almeno in certe condizioni. Oppure la sistematica offerta di iniziative orientate alla riduzione dell’omofobia sociale e interiorizzata in chiave di promozione della salute. Si potrebbero moltiplicare i punti di accesso al test HIV consentendo alle associazioni e a chi è “interno” a quella comunità, e ne conosce modi e linguaggi, di gestirne direttamente l’offerta aiutando lo Stato in questo.
Il messaggio chiave che dovrebbe passare in questo Paese non è che tutti i gay hanno bisogno della PrEP, cosa non vera (messa così) e comunque insostenibile, ma che la prevenzione per essere efficace si fa mirando ogni singola tecnica, strategia e comunicazione, dati alla mano, per individuare le soluzioni più giuste per ogni singolo profilo di rischio. Ad ognuno la sua, insomma, perché anche i maschi gay e bisessuali (come tutti) sono diversi tra loro per gradi di rischio. E lo si dovrebbe fare con il dialogo con le associazioni LGBT.
Invece ci troviamo a gestire il ritorno insidioso e sotto mentite spoglie dell’uso omofobico e sessuofobico dell’HIV: ovvero l’infezione raccontata più o meno inconsapevolmente come punizione per comportamenti libidinosi, antisociali e irresponsabili. Come trent’anni fa. Se lo Stato e le istituzioni (e la Iardino, che ha anche un ruolo istituzionale) hanno paura delle parole e delle realtà del sesso, diano almeno le risorse alle associazioni per occuparsene con i propri linguaggi e la propria capacità di penetrazione nella realtà.
Altrimenti di che cosa stiamo parlando? Di scelta tra PrEP e preservativo? Di sincera preoccupazione per la salute dei gay? Ma fatemi un piacere…
Michele Breveglieri
Segretario Nazionale Arcigay