Le opposizioni temevano il contingentamento dei tempi, che per ora non c’è stato. Con l’ingorgo creato in Senato da quattro decreti da convertire (carceri, P.A., competitività e cultura) magari a suon di fiducie, dalle votazioni sui giudici di Consulta e Csm e dalle riforme, ora l’obiettivo del governo è uno solo: portare a casa il prima possibile il primo sì al ddl 1429, che contiene la riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione. A meno di miracoli, l’ingorgo è garantito. Solo sul testo che disegna la futura composizione del Senato approdata in Aula a Palazzo Madama sono piovuti 7.830 emendamenti. E’ il provvedimento per cui Matteo Renzi spinge da tempo sull’acceleratore e ora l’approvazione in prima lettura (promessa in origine per il 25 maggio) rischia di slittare: “Forse dovremo ricorrere a sedute notturne per consegnare queste riforme alla Camera prima della pausa estiva”, annunciava ieri l’ex presidente dell’aula di Palazzo Madama, Renato Schifani. Passare le vacanze in Aula, passi: quello che la maggioranza vuole evitare è uno slittamento del voto alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva.
“Sappiamo che in queste ore il governo e la maggioranza stanno pensando alla possibilità di contingentare i tempi per l’esame in Aula della riforma costituzionale – si legge in una nota del capogruppo del Movimento 5 Stelle a Palazzo Madama, Vito Petrocelli – che tradotto significa: tagliare i tempi che da Regolamento sono garantiti per l’esame del testo. E’ uno strappo inaccettabile, non giustificato da nessuna urgenza visto che il disegno di legge costituzionale non ha scadenza. Ma soprattutto è impensabile voler trattare con questa fretta la riforma della Costituzione, come se stessimo parlando di una legge ordinaria qualunque”.Come si fa a contingentare i tempi? Secondo l’opposizione, nella conferenza dei capigruppo fissata per le 13,30 il governo deciderà di concedere soli due minuti per illustrare ciascun emendamento e limitare ad un sì o ad un no le singole dichiarazioni di voto. Nei fatti una sorta di “ghigliottina“. Lo scopo sarebbe quello di chiudere entro stasera la discussione e votare emendamenti e testo tra lunedì e mercoledì prossimo. “E’ gravissimo pensare di voler concludere in tempi così stretti la prima lettura della riforma: i nostri Padri Costituenti hanno impiegato tre anni per scrivere la nostra Carta, ora la maggioranza vuole stravolgerla in tre giorni“, conclude Petrocelli.
Una fretta, quella del governo, giustificata dalla necessità di portare a casa risultati che stentano ad arrivare. Un fiume di annunci, pochissimi fatti. Il Sole24Ore sintetizza così i risultati raggiunti fino ad oggi dal governo guidato da Matteo Renzi. “Uno Sturm un Drang che non conosce la sistemazione teorica dell’idealismo”, esordisce l’editoriale in prima pagina sul più importante quotidiano economico italiano. Cosa significa? Lo si legge subito sotto: “il riformismo renziano acquista sempre più la fisionomia di un impeto senza organicità”. Ovvero, agli annunci sciorinati nei primi giorni seguenti alla nomina non sono seguiti molti fatti né risultati. “L’impeto – sentenzia il Sole – non basta. Produce antitesi, quasi mai sintesi”. Una tendenza già sottolineata a maggio dal factchecking condotto da ilfattoquotidiano.it sulle promesse inanellate dal premier. Il quotidiano di Confindustria prende ad esempio la vicenda del Jobs Act: “Renzi ne presentò con grande urgenzale linee guida nei primissimi giorni dell’anno, quando non era ancora premier (…). Sono passati sei mesi e l’approdo in Aula al Senato del Ddl 1428, la delega sul lavoro appunto, è slittato a fine mese, in attesa che la maggioranza trovi l’intesa sul contratto a tutele crescenti. Poi toccherà alla Camera e quindi ai decreti delegati. La rivoluzione, insomma, può attendere”.