Come sottolinea l'avvocato Coppi, sulla sentenza d'appello del processo Ruby pesa la legge anticorruzione approvata nel 2012 sotto il governo Monti. Che rende più difficilmente punibili le pressioni senza "costrizione". Nel marzo 2013 a beneficiarne erano stati tre manager coinvolti nel processo Penati
Silvio Berlusconi è stato assolto in appello al processo Ruby dal più grave reato che gli veniva contestato dalla Procura di Milano, la concussione, grazie alla legge anticorruzione approvata nel 2012 sotto il governo Monti, con Paola Severino Guardasigilli e i voti bipartisan di Pd e Pdl, uniti nelle larghe intese. Proprio come è già successo, nel marzo 2013, a tre dirigenti di coop rosse coinvolti nel processo contro l’ex esponente Pd Filippo Penati, usciti di scena per una prescrizione resa più celere da quella stessa legge.
Il primo a comprenderlo è stato proprio il difensore dell’ex premier, l’avvocato Franco Coppi (nella foto), non per niente considerato uno dei migliori penalisti d’Italia: “Era impossibile anche derubricare la concussione per costrizione in concussione per induzione, perché quest’ultima forma richiede un vantaggio per il concusso”.
Coppi fa proprio riferimento alla legge del 2012, che tra polemiche e diatribe interprettive portò allo “spacchettamento” del reato di concussione nelle due casistiche citate dal legale di Berlusconi. E anticipa una delle possibili motivazioni dell’assoluzione a sorpresa, che si potranno leggere solo al deposito della sentenza: Berlusconi è certamente intervenuto sul capo di gabinetto della Questura di Milano Pietro Ostuni per far rilasciare l’imbarazzante ospite delle feste di Arcore, ma il poliziotto non ha ottenuto in cambio alcun vantaggio. Probabilmente, per i giudici di secondo grado Ostuni avrebbe potuto resistere a quella telefonata, ma non lo fece perché, come detto da Coppi durante l’arringa, chi non vorrebbe fare un favore al presidente del consiglio?
Il primo a rendersi conto del pasticciaccio della riforma della concussione era stato Raffaele Cantone, da poco presidente dell’Anticorruzione, all’epoca in forza all’Ufficio del massimario della Cassazione. Cantone aveva individuato molti punti deboli nella legge tanto che alla fine a dirimere la questione furono chiamate le sezioni Unite della Suprema corte. In 19 pagine relazione, naturalmente senza nominare né il processo Ruby né il caso Penati, Cantone aveva scritto nero su bianco che il cosiddetto spacchettamento della concussione in due ipotesi – induzione e costrizione appunto– avrebbe potuto incidere pesantemente sui processi per quel reato.
Come? Facendolo evaporare nel campo del penalmente irrilevante e, di fatto, morire. Questo perché scompariva come parte attiva l’incaricato di pubblico servizio (e Berlusconi essendo premier lo era quando telefonò da Parigi per far liberare Ruby) e veniva inserita invece la punibilità di chi viene indotto a commettere il reato. I poliziotti che rilasciarono la minorenne marocchina dopo la teòlefonata del presidente del Consiglio che la indicava come “nipote del presidente egiziano Mubarak”, paventando una possibile crisi diplomatica, nel procedimento istruito da Ilda Boccassini a Milano figurano al contrario come parti lese.
E alla fine che cosa decisero le sezioni Unite della Cassazione? Nel verdetto del 24 ottobre 2013, la Corte presieduta da Giorgio Santacroce stabilì che le nuove norme “spacchettate” dovevano essere interpretate condannando più duramente solo chi “limita radicalmente” la libertà del soggetto sul quale fa pressione, e in modo più mite – con prescrizione breve e senza pena accessoria – chi esercita una “pressione non irresistibile”. In sostanza, i giudici di piazza Cavour hanno alzato l’asticella del limite che differenzia la concussione per costrizione, più grave, dall’induzione indebita. Il reato di costrizione resta applicabile solo quando le pressioni mettono qualcuno con le spalle al muro. Una voce critica fu quella del procuratore generale Vito D’Ambrosio, secondo il quale la nuova formulazione aveva “posto più problemi di quelli che voleva risolvere“, per “mancanza di indicazioni nitide”.
Ecco la soluzione di diritto adottata dalle Sezioni Unite: “La fattispecie di induzione indebita è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio”. La congiunzione “e” è fondamentale: se non c’è un vantaggio, come nel caso di Ostuni, non c’è reato. Come ha sottolineato l’avvocato Coppi. Quanto alla concussione per costrizione, scrivono i giudici, le maglie sono assai più strette: si verifica soltanto se “si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario”.