Secondo i magistrati il produttore della serie televisiva favorì il clan Gallo, non rivelò le minacce dei camorristi e informò i boss delle indagini della procura sull'estorsione per realizzare la fiction. Oltre De Laurentiis, indagati anche il produttore Gianluca Arcopinto e il location manager, Gennaro Aquino. Per i pm "gli indagati erano comprensivi con i criminali e insofferenti verso l'autorità giudiziaria"
La fiction anti-camorra per eccellenza, Gomorra la serie, finisce sotto inchiesta, con il suo produttore esecutivo, Matteo De Laurentiis, indagato per favoreggiamento nel confronti del clan Gallo di Torre Annunziata. Oltre De Laurentiis, indagati anche il produttore Gianluca Arcopinto e il location manager, Gennaro Aquino.
Il gip Marina Cimma parla di “comportamento riprovevole” che si spinge “oltre la mera omertà e la reticenza”. Una condotta – continua il gip – “biasimevole” se si considera che “la vicenda è collegata a una produzione televisiva che dovrebbe divulgare la conoscenza del fenomeno criminale della camorra, e dunque stigmatizzarla pubblicamente”. E invece, conclude il gip, da un lato “gli indagati hanno palesato una sorta di comprensione alle ‘ragioni’ del clan, dall’altro hanno mostrato “forte insofferenza verso l’azione di contrasto dell’Autorità giudiziaria”. Il pm Pierpaolo Filippelli ha chiesto per Aquino gli arresti domiciliari, mentre per Arcopinto ha chiesto il divieto di dimora in Campania e l’obbligo di presentazione dinanzi all’autorità giudiziaria, rigettata dal gip anch’essa. Per De Laurentiis, invece, la dda di Napoli ha chiesto il divieto di dimora in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Richiesta rigettata dal gip – ma l’accusa ha già presentato ricorso in appello – che ritiene la condotta dei tre “priva di rilevanza penale”. Il punto è che – come rivelato dal Fatto Quotidiano nel settembre 2013 – per girare le scene Gomorra – prodotta da Cattleya e Sky – era stata affittata la villa di un boss di Torre Annunziata, al prezzo di 30mila euro, da versare in più tranche da 6 mila ciascuna: parliamo della casa del boss Savastano protagonista della fiction. In realtà, secondo l’accusa, in questo modo il clan Gallo avrebbe realizzato un’estorsione nei confronti della produzione. E De Laurentiis, Arcopinto e Aquino, per la dda avrebbero commesso il favoreggiamento negando, nei loro interrogatori , di aver subìto minacce. Non solo: De Laurentiis avrebbe anche rivelato, a uomini del clan, l’esistenza dell’indagine.
Il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Torre Annunziata, guidato dal maggiore Alessandro Amadei, ieri, ha eseguito tre arresti per estorsione aggravata dal metodo mafioso, nei confronti Francesco e Raffaele Gallo e di Annunziata De Simone. Sono accusati di aver costretto De Laurentiis, Aquino e Arcopinto, a versare “la somma complessiva di 18 mila euro… come successive rate dei 30 mila euro previsti … per l’uso cinematografico dell’immobile”. Immobile che viene sequestrato, però, proprio durante le riprese: la casa viene affidata all’Amministratore giudiziario nominato dal Giudice e il canone previsto finisce quindi allo Stato. I Gallo intendono comunque incassare il denaro pattuito. Altrimenti avrebbero “fatto fallire il cinema”. La produzione sta pagando infatti l’amministrazione giudiziaria. Ed ecco cosa dice un interlocutore ad Aquino: “Speriamo che glieli sbloccano… (al clan, ndr) … anche perché a regalarli allo Stato, così a cazzo di cane… è meglio che se li prendono… Franco (Gallo Francesco, ndr) e i suoi…”. Aquino risponde: “Sì, si comprano un biliardo nuovo”.
Poi avviene l’incontro tra Zi’ Filuccio e De Laurentiis per discutere dei soldi da versare al clan. “Sorprende – scrive il gip – la capacità del De Laurentiis di porsi sul medesimo piano del proprio interlocutore… esprime parole di disprezzo nei confronti dei collaboratori di giustizia – “È brutta gente Zio Filuccio!” – le cui dichiarazioni erano state utilizzate per emettere provvedimenti contro i membri del clan, poi rassicura Gallo circa l’atteggiamento omertoso tenuto con l’autorità giudiziaria, infine pone l’accento sulla insostenibilità per la Cattleya di una situazione del genere, che poteva arrecare alla produzione gravi danni economici e di immagine…”. Poi rivela all’uomo del clan che c’è un’indagine in corso e che, quindi, per non peggiorare la situazione, è meglio non pagare più nulla. Quindi conclude: “Zì Filuccio… io sono nelle mani vostre… fateci sapere come dobbiamo fare…”. La produzione non pagherà più un centesimo. Cattleya e Sky negano di aver subìto pressioni dal clan, per ulteriori pagamenti, oltre quelli disposti verso l’autorità giudiziaria.
Da Il Fatto Quotidiano del 18 luglio 2014
Pubblichiamo la rettifica dell’autore riferita alcune informazioni.
I NOSTRI ERRORI
Nell’articolo intitolato “Favorì i clan. Indagato il produttore di Gomorra”, pubblicato ieri a pagina 11, abbiamo scritto che per Gianluca Arcopinto il pm aveva richiesto la misura cautelare degli arresti domiciliari, rigettata dal gip. In realtà, la misura richiesta è quella del divieto di dimora in Campania e dell’obbligo di presentazione dinanzi all’autorità giudiziaria, rigettata dal gip anch’essa. Per un errore di trascrizione, infine, abbiamo attribuito a Gennaro Aquino la seguente frase: “Speriamo che glieli sbloccano… anche perché a regalarli allo Stato così a cazzo di cane… è meglio che se li prendono… Franco (il capoclan Gallo Francesco, ndr) e i suoi…”. In realtà la frase precedente era proferita dal suo interlocutore mentre la risposta di Aquino è: “Sì, si comprano un biliardo nuovo”. Ce ne scusiamo con gli interessati.
Antonio Massari
Da Il Fatto Quotidiano del 19 luglio 2014