Questione di ricorrenze. E di coincidenze. Nella notte a cavallo tra il 17 e il 18 luglio, l’esercito israeliano invade Gaza: il 17 luglio, giorno in cui si ricorda l’istituzione della Corte Penale Internazionale dell’Aja; il 18 luglio, consacrato dalle Nazioni Unite ne come il Mandela Day, il primo che si celebra senza di lui. Oggi persino Google ha voluto ricordarlo sulla sua homepage.

Sono trascorsi sette mesi da quando Madiba è morto. Abbiamo ancora tutti negli occhi le immagini del suo funerale, della grande cerimonia allo stadio, con quasi tutti i capi di stato del mondo. Quasi. Peres e Netanyahu non c’erano. Un’assenza criticata anche in patria (qui e qui). Ma gli attriti tra l’ex presidente sudafricano Nobel per la pace e la leadership dello Stato d’Israele erano di lunga data: Mandela non aveva mai fatto mistero di appoggiare la causa palestinese. Anzi, sono celebri alcune sue frasi in merito: “La Palestina è la questione morale del nostro tempo” o ancora “Sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza quella dei palestinesi”. 

L’anno in cui l’Onu ha istituito il Mandela Day, il 2009, è lo stesso che ha visto assegnare a Barak Obama il Nobel per la pace, il medesimo riconoscimento che Nelson Mandela aveva ricevuto sedici anni prima. A dividerli, un mondo. Fatto di storie ed epoche che paiono lontane anni luce. Ma fatto anche di coraggio. Il coraggio che è mancato anche oggi, quando il presidente in carica degli Stati Uniti ha ribadito che “Israele ha il diritto alla difesa”. Nelson Mandela non l’avrebbe mai detto, non avrebbe mai mistificato la realtà, lui che per le sue idee e il suo popolo ha patito decenni di carcere.

E a fine ottobre 2013, poco prima di morire, Madiba ha compiuto l’“ultimo sgarbo” a Israele, dando il suo appoggio e la sua benedizione a una campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouti (che in tanti chiamano il Mandela palestinese) e dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. La campagna è stata lanciata da Ellis Island, proprio da quella che per anni fu la sua cella. In sua vece (le condizioni di salute non gli consentivano di muoversi), l’amico di sempre Ahmed Kathrada.

Coincidenze, dicevamo. L’altra è quella con la data di nascita della Corte Penale Internazionale dell’Aja: vi dicevo pochi giorni fa della rabbia dei paesi dell’Unione Africana verso questa istituzione, che ai loro occhi processa solo africani. E a riprova delle loro accuse portano sempre un esempio: perché l’Aja non fa nulla davanti alle violazioni dei diritti umani e ai crimini di guerra compiuti da Israele?

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