Cronaca

‘Ndrangheta, i vescovi calabresi: “Nega il Vangelo”. Ma non scomunicano i mafiosi

Dopo il caso di Oppido Mamertina e le parole inequivocabili di Papa Francesco la Conferenza episcopale regionale si limita a sottolineare che chi "adora il dio denaro e esercita una diabolica delinquenza" si mette fuori dalla comunità ecclesiale. Ma non fissa norme su battesimi e cresime per "applicare" la linea di Bergoglio

Nessuna scomunica dei mafiosi dai vescovi calabresi. Nel comunicato finale della riunione della Conferenza episcopale calabrese che si è tenuta il 17 luglio, dopo la scomunica del Papa ai mafiosi e “l’inchino” della statua della Madonna delle Grazie al boss Giuseppe Mazzagatti a Oppido Mamertina, i presuli si limitano a ribadire che “la ‘ndrangheta è negazione del Vangelo”. Il 21 giugno scorso Papa Francesco, nella piana di Sibari, davanti a 250mila fedeli e soprattutto davanti a tutti i presuli calabresi che concelebravano con lui era stato chiarissimo: “Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.

Parole inequivocabili, ben al di là dell’anatema pronunciato da Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993, dove tre anni prima era stato assassinato dalla mafia il magistrato Rosario Livatino, di cui è stata avviata da tempo la causa di beatificazione. E dopo che l’anno prima erano stati uccisi sempre dalla mafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta nella strage di Capaci, e Paolo Borsellino con i cinque membri della scorta nella strage di via D’Amelio. Pochi mesi dopo l’anatema di Wojtyla, la mafia ucciderà anche don Pino Puglisi beatificato a Palermo il 25 maggio 2013.

Nel comunicato finale della Conferenza episcopale calabrese non c’è nemmeno una parola di condanna per il comportamento del parroco di Oppido Mamertina, don Benedetto Rustico, che dal pulpito aveva istigato i fedeli, durante la Messa vespertina di domenica 6 luglio, “a prendere a schiaffi il giornalista del Fatto. Gesto subito condannato dal vicepresidente della Conferenza episcopale italiana e vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, che lo aveva definito una “istigazione non cristiana e non civile” e dal presidente dei vescovi calabresi e arcivescovo di Cosenza-Bisignano, monsignor Salvatore Nunnari che, fiero della sua quarantennale tessera di pubblicista e del suo passato di consigliere nazionale della Federazione nazionale della stampa italiana e di vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria, aveva espresso “la sua totale vicinanza al collega del Fatto aggredito a Oppido Mamertina”. Peccato, però, che sia mancata la condanna unanime della Conferenza episcopale calabrese. Neanche lo stop alle processioni deciso nella sua diocesi dal vescovo di Oppido-Palmi, monsignor Francesco Milito, è stato assunto dall’intero episcopato regionale. Così come non c’è nessuna nota sulla proposta rivolta direttamente al Papa dall’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, di abolire per 10 anni i padrini di battesimi e cresime per evitare infiltrazioni criminali nella Chiesa.

Nel loro comunicato finale i presuli ringraziano Papa Francesco per “il forte messaggio che, durante la sua visita a Cassano allo Jonio, si è levato dal suo cuore sia per sostenere il cammino di conversione e di rinascita dei detenuti; sia per dare speranza ai giovani e a quanti si ritrovano feriti nella loro dignità per la mancanza di lavoro; sia, soprattutto, per esprimere il dolore della Chiesa per quanti, adorando il dio denaro ed esercitando una persistente e diabolica delinquenza, si pongono di fatto, con la loro pubblica e peccaminosa condotta di vita, fuori dalla comunità ecclesiale”. Ma la parola scomunica, diversamente da quanto fatto da Bergoglio nella piana di Sibari, non viene mai pronunciata. “Considerando, inoltre, – proseguono i vescovi calabresi – che proprio le forti parole del Papa contro la ‘ndrangheta sono apparse ancora più profetiche in seguito ad alcuni episodi verificatisi in qualche diocesi, episodi che, clamorosamente riportati dai mezzi di comunicazione, hanno causato un diffuso generale sgomento, il presidente ha esortato tutti i confratelli vescovi a offrire ciascuno la propria riflessione sui problemi legati al fenomeno della mafia in Calabria e sugli atteggiamenti che le comunità ecclesiali devono manifestare di fronte a questa ‘disonorante piaga della società‘ che deturpa da fin troppo tempo la vita dei calabresi. Il tutto al fine di prendere ‘decisioni condivise’, da offrire a tutti, in modo che uno stesso stile di testimonianza cristiana venga vissuto e incarnato all’interno di tutte le chiese calabresi”. Decisioni che saranno condensate in una nota pastorale che, secondo quanto annunciano i presuli, sarà approvata entro il prossimo mese di ottobre.

Nelle linee progettuali di questo documento che è ancora in fase embrionale, i vescovi ribadiscono che “la ‘ndrangheta non è solo un’organizzazione criminale che come tante altre vuole realizzare i propri illeciti affari con mezzi altrettanto illeciti, ma, attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi, è una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea”. Infine, si preannuncia che “nella nota pastorale troveranno spazio indicazioni concrete che accompagnano scelte e prassi pastorali. Sono indispensabili regolamenti più incisivi che prevedano preparazione remota e prossima ai gesti che si compiranno, soprattutto prevedano una formazione cristiana vera e permanente”. La speranza è che in questo documento siano codificate le normative concrete per rendere finalmente inaccessibili ai mafiosi i sacramenti e il ruolo di “padrini” nei battesimi e nelle cresime, applicando così la scomunica inflitta loro in modo fermo e chiaro da Papa Francesco.

Twitter: @FrancescoGrana