A Buenos Aires il tempo stringe. L’accordo con i fondi speculativi per evitare un nuovo default sul debito appare ancora lontano. E le accuse reciproche non si fermano. Venerdì un rappresentante di Elliott Management, uno degli hedge fund che hanno vinto in tribunale contro la Casa Rosada e con cui l’Argentina dovrebbe raggiungere un’intesa, ha detto che il Paese “è determinato a fare default. Rifiuta di incontraci e di tentare di raggiungere un accordo. Ci auguriamo che non scelga questa strada”. Intanto però sembra aprirsi l’ipotesi di una mini-sospensione di 24 ore della sentenza, che eviterebbe il default dell’Argentina e lascerebbe più tempo per le trattative con gli hedge fund. Secondo indiscrezioni, alcuni incontri tra i fondi e funzionari argentini ci sarebbero stati e il risultato sarebbe un’apertura all’ipotesi di chiedere al giudice americano, Thomas Griesa, di sospendere la sentenza precedente per un giorno, consentendo a Buenos Aires di pagare i creditori che hanno accettato lo swap del debito ed evitare il default. Un’indiscrezione dopo la quale il valore dei bond argentini è risalito, per la prima volta nel corso della settimana. La palla ora torna a Griesa, che ha convocato una nuova udienza il 22 luglio, quando deciderà come procedere. Il 30 luglio termina il “periodo di grazia” di un mese per il pagamento dei bond ai risparmiatori che hanno accettato la ristrutturazione del debito. Buenos Aires avrebbe dovuto pagarli il 30 giugno.
La Corte Suprema americana ha confermato la sentenza di Griesa, secondo la quale Buenos Aires deve pagare oltre 1,5 miliardi di dollari agli hedge fund che non hanno aderito al concambio e deve farlo prima di pagare chi invece lo ha accettato. Se l’Argentina rispettasse la sentenza si troverebbe a violare la clausola Rufo (Rights upon future offers), che consente ai titolari di bond di chiedere rimborsi maggiori nel caso in cui il Paese paghi di più chi non ha accettato lo swap. La clausola scade il 31 dicembre e violarla si tradurrebbe in potenziali richieste dagli altri creditori per 120 miliardi di dollari.